Il trittico di Bonifacio Bembo: ultimo atto dell'arte viscontea a Milano?


Il trittico di Bonifacio Bembo diviso tra Denver e Cremona è un'opera di transizione tra arte viscontea e arte sforzesca. Ne parliamo in questo post sul nostro blog. Quest'anno i tre scomparti vengono riuniti dopo 16 anni.

Nell’ottobre del 1468, a Melegnano, si spegneva Bianca Maria Visconti, l’ultima duchessa della famiglia che per quasi due secoli aveva retto le sorti di Milano. Malgrado la linea maschile dei Visconti si fosse già estinta nel 1447 e il Ducato fosse passato nelle mani degli Sforza tramite il matrimonio tra la stessa Bianca Maria e il condottiero Francesco Sforza, dopo la scomparsa del marito, avvenuta nel 1466, Bianca Maria seppe assumere il governo del ducato con grande capacità, onde preparare nel migliore dei modi la successione che spettava al figlio Galeazzo Maria Sforza. Erano insomma, le ultimissime vicissitudini dei Visconti alla guida di Milano. Tuttavia l’irriconoscente figlio, dotato di un carattere avido e arrogante, fece di tutto per estromettere la madre dalla politica milanese: e infatti Bianca Maria Visconti, nel 1467, si ritirò a Cremona, città di cui deteneva la signoria e dove, peraltro, si era sposata.

Bianca Maria, che aveva condotto studi umanistici e che si era distinta per la sua passione per l’arte, coltivò i suoi interessi anche negli ultimi due anni della sua esistenza, nel suo ritiro volontario a Cremona. Una studiosa statunitense esperta in arte del Rinascimento, Evelyn Welch, nel 2010 ipotizzava che a Cremona, sempre nel 1467, Bianca Maria avesse chiamato uno degli artisti prediletti della famiglia, Bonifacio Bembo (1420 circa - 1480 circa) affinché dipingesse una pala da collocare nella chiesa di Sant’Agostino. Il dipinto, da porre nella cappella dedicata ai santi Daria e Crisante, avrebbe dovuto celebrare la ricorrenza del matrimonio tra Bianca Maria e Francesco Sforza, avvenuto il 25 ottobre del 1441: i due santi infatti si festeggiano il 25 ottobre, e gli sposi li avevano eletti a loro protettori. Evelyn Welch ritiene che questa pala, di cui furono poi perse le tracce, sia da rintracciare nel trittico diviso tra il Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona e l’Art Museum di Denver, negli Stati Uniti. Dal momento che mancano documenti che possano suffragare questa ipotesi, ci muoviamo nel campo dell’incertezza, tanto che le ultime ricerche degli storici dell’arte italiani (su tutti, quelle più recenti di Marco Tanzi, che a proposito del dipinto si è espresso in un suo volume pubblicato tre anni fa) preferiscono retrodatare l’opera a un periodo compreso tra il 1445 e il 1450, soprattutto per ragioni stilistiche: c’è anche chi la mette in relazione a una committenza ricevuta dalla nobile famiglia cremonese dei Plasio, che erano titolari di una cappella sempre all’interno della chiesa di Sant’Agostino. È verso queste supposizioni che preferisce orientarsi la critica italiana più aggiornata. Ad ogni modo, è comunque pressoché certo che l’opera si trovasse in Sant’Agostino.

I tre scomparti che in origine formavano il trittico sono stati eccezionalmente riuniti quest’anno: il pubblico può ammirarli assieme alla mostra Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, a Milano (Palazzo Reale), prodotta da Skira insieme al Comune di Milano, che durerà fino al 28 giugno. Un’occasione quindi interessante per vedere l’opera completa dei suoi tre scomparti, considerando anche il fatto che l’ultima (e, finora, unica) occasione in cui le tavole erano state riunite risale a sedici anni fa: era il 1999 e alla Pinacoteca di Brera si teneva una mostra sui celebri tarocchi sforzeschi, dipinti dallo stesso Bonifacio Bembo. Risale invece al 1928 la “riscoperta” delle tre tavole, riunite da Roberto Longhi: fu lui a dare il via agli studi sull’artista. E, peraltro, la mostra milanese si configura come un omaggio all’omonima mostra che Roberto Longhi curò nel 1958 assieme a Gian Alberto Dall’Acqua, proprio nelle sale di Palazzo Reale.

Il trittico di Bonifacio Bembo
Il trittico di Bonifacio Bembo. Da sinistra: Bacio tra sant’Anna e san Gioacchino alla Porta d’Oro (Denver, Denver Art Museum); Incoronazione di Gesù e della Vergine (Cremona, Museo Civico Ala Ponzone); Adorazione dei Magi (Denver, Denver Art Museum)

Ma torniamo al trittico di Bonifacio Bembo: lo scomparto di sinistra raffigura il Bacio tra sant’Anna e san Gioacchino alla Porta d’Oro, assieme al profeta Eliseo e a san Nicola da Tolentino. Quello di destra riporta invece una Adorazione dei Magi: sono questi i due pannelli conservati a Denver. Lo scomparto centrale, quello che si trova a Cremona, presenta l’Eterno che incorona Gesù e Maria. Pare poco plausibile l’identificazione, proposta in passato dallo storico dell’arte Germano Mulazzani, dei due personaggi centrali con i santi Crisante e Daria: avrebbe contribuito a valorizzare l’ipotesi della committenza viscontea, e avrebbe fornito una risposta ai dubbi su quale fosse la perduta pala realizzata per Bianca Visconti (ancorché la datazione avrebbe dovuto essere anticipata ai primi anni Sessanta per ragioni documentarie), ma non sembra iconologicamente corretta.

Su una cosa però possiamo essere d’accordo: osservando da vicino le tavole del trittico, quasi ci si dimentica dei problemi storici e documentari che interessano questo capolavoro dell’arte lombarda del Quattrocento. Perché è un’opera che unisce il naturalismo tipico dell’arte della Lombardia a una grande eleganza che, anche se non fosse derivata dal fatto che si trattava di un’opera di diretta committenza viscontea, di sicuro deriva dal gusto che, nel corso degli anni, era stato dettato dalla corte milanese. Siamo in pieno Rinascimento, perché se anche ammettessimo la datazione più antica tra quelle proposte, dovremmo considerare che Masaccio se n’era andato da circa vent’anni, che Filippo Lippi e Piero della Francesca erano nel pieno della maturità, e che Melozzo da Forlì stava iniziando la propria formazione. Ma l’impressione che ricaviamo, di fronte al trittico, non è certo quella di trovarci di fronte a un dipinto rinascimentale: a Milano, i gusti erano ancora fortemente influenzati dall’arte tardogotica. Ecco quindi che il corteo dei magi riecheggia quello della celeberrima Adorazione di Gentile da Fabriano: sicuramente Bonifacio Bembo non la vide, ma dovette conoscere l’arte di Gentile, che con ogni probabilità si formò proprio nella Milano viscontea. Bonifacio Bembo ha saputo unire la preziosità dei materiali, con gli ori finemente cesellati, le stoffe riccamente decorate, e anche le aureole dei santi trattate quasi come fossero preziosi gioielli, a una vivissima attenzione alla resa realistica dei volti: ognuno dei personaggi del corteo ha una propria caratterizzazione individuale. E si nota anche una notevole cura del dettaglio, altro indice di elevata raffinatezza: i riccioli dei Magi, le trasparenze del velo che avvolge Gesù Bambino, il castello che appare sullo sfondo, persino gli occhi dei cavalli (scherzando di fronte all’opera, ci siamo detti che sembra si siano dati un tocco di mascara)... tutto è mirabilmente studiato.

Anche la resa degli affetti, per Bonifacio Bembo, ha un valore importante. Il bacio tra i genitori della Vergine, sant’Anna e san Gioacchino, è lì a dimostrarcelo, ma potremmo accorgercene anche dal tenero movimento del Bambino, ancora nello scomparto dell’Adorazione, che nel ricevere gli omaggi del più vecchio dei Magi, si gira quasi di scatto verso la madre tenendola per la mano, in segno di ritrosia: un po’ come fanno tutti i bambini quando ricevono le attenzioni di persone con cui non sono in confidenza. Se invece di Rinascimento occorre parlare, allora lo si può fare per alcuni aspetti come l’impostazione spaziale dei tre scomparti, i profili di certi personaggi del corteo dei magi che quasi ricordano la medaglistica antica, ma anche quella contemporanea di Pisanello, e soprattutto per gli elementi classicheggianti del pannello centrale, con lo spazio peraltro organizzato su prospettiva centrale. Una prospettiva un po’ zoppicante ma che comunque dimostra, unitamente al soffitto cassettonato, ai festoni appesi in alto, alle decorazioni della parete e al basamento marmoreo del trono, un certo interesse, da parte di Bonifacio Bembo, per il recupero rinascimentale dell’arte classica. È comunque dimostrato che, più avanti negli anni, l’arte di Bonifacio Bembo avrebbe conosciuto una evoluzione più marcatamente rinascimentale.

Dicevamo prima che non abbiamo certezze circa l’occasione in cui il trittico di Bonifacio Bembo fu realizzato. E abbiamo anche visto come, secondo un’ipotesi, potrebbe essere l’ultimo atto ufficiale dell’arte viscontea a Milano. Ma anche se non lo fosse, il suo ruolo simbolico rimarrebbe inalterato: con il trittico di Bonifacio Bembo, e con le opere coeve, si stava chiudendo un’epoca. A seguito dell’ascesa degli Sforza, la cultura figurativa milanese avrebbe iniziato, in modo tardivo rispetto ad altre città d’Italia, a sciogliere i propri legami con l’arte tardogotica e ad abbracciare le novità del Rinascimento: questo processo, dapprima lento, conobbe una significativa accelerazione proprio dopo la scomparsa di Bianca Maria Visconti e sotto il ducato di Galeazzo Maria Sforza. Ecco dunque un altro motivo per cui il trittico è così affascinante: perché segna la chiusura di un’epoca e si colloca in un’importante fase di transizione per tutta l’arte lombarda. E, ancora per qualche tempo, abbiamo l’opportunità di vedere assieme tutte le tre tavole che lo compongono.

Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza, ingresso
Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza, ingresso. Ph ©Francesca Forquet per Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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