Credo d’essere una persona al di sopra delle parti e al di sopra d’ogni sospetto quando si parla di spostamenti d’opere d’arte : a parlare è la storia della nostra rivista, sono le tante battaglie che abbiamo sempre ingaggiato e sostenuto per evitare trasferimenti inutili, sono le convizioni personali mie e della redazione. In breve, siamo profondamente decisi nell’affermare che ogni movimento dovrebbe avvenire unicamente per motivi scientifici, anche se l’opera deve fare solo un piano di scale. Certo, non sono idee originali: è, in sostanza, quello che sosteneva un grande storico dell’arte, Francis Haskell, uno dei più risoluti avversarî del “mostrismo” che da una quarantina d’anni imperversa in gran parte di quei paesi che pure hanno alle spalle una lunga tradizione di studî storico-artistici.
Le mie posizioni sono sempre state simili a quelle di chi, in questi giorni, si sta opponendo al trasferimento del Seppellimento di santa Lucia di Caravaggio, che dovrebbe lasciare Siracusa per esser esposto in una mostra al Mart di Rovereto. Mi sono però sempre imposto di non oltrepassare il limite dell’oltranzismo, ovvero quello che molti, sulla vicenda del Caravaggio siracusano, hanno allegramente valicato adducendo spesso pretesti fantasiosi. Occorre, intanto, partire dal progetto curatoriale della mostra di Vittorio Sgarbi: il percorso immaginato dallo storico dell’arte, che tento di riportare di seguito, poggia su di una serie di connessioni storiche e formali che legano le opere che dovrebbero far parte del progetto, vale a dire il Seppellimento e la Flagellazione di Caravaggio, un Grande ferro e un Cretto di Alberto Burri e i Naufraghi di Cagnaccio di San Pietro. Riassumendo quanto m’ha riferito Sgarbi, la mostra partirà con l’intento di proseguire il cammino cui il Mart ha dato vita nel 2014, ovvero portare l’arte antica in un museo d’arte contemporanea: allora, era stata organizzata un’importante mostra su Antonello da Messina, per la curatela di Ferdinando Bologna e Federico De Melis, e oggi, a sei anni di distanza, si vuol replicare con questo evento su Caravaggio.
Un evento espositivo che aspira a ricostruire i rapporti tra Burri e Caravaggio (di cui, tra l’altro, già tanti hanno scritto in passato: sovvengono i nomi di Mauro Pratesi, Maurizio Calvesi, Bruno Corà) rievocando, attraverso la presenza della Flagellazione, un preciso accadimento, ovvero l’ingresso del Grande Cretto, una delle più celebri opere di Burri, al Museo Nazionale di Capodimonte: l’artista umbro lo volle espressamente vicino ai dipinti dei caravaggeschi (era il 1978, l’operazione fu fortemente voluta da Raffaello Causa e si trattò della prima volta che un’opera contemporanea entrava in un museo d’arte antica: l’idea di Sgarbi è quella di richiamare questo passaggio). C’è poi, come detto, il dato formale: la presenza del Seppellimento e del Grande ferro è finalizzata a far emergere le similarità tra le due opere, col fondo dell’opera caravaggesca evidenziato come un’anticipazione dell’informale della seconda metà del Novecento, e Burri (che, com’è noto, lavorò in Sicilia) che si pone in diretta connessione figurativa col precedente caravaggesco, a sua volta probabilmente ispirato dal paesaggio naturale dell’Orecchio di Dioniso appena fuori Siracusa. Ai Naufraghi, opera della collezione VAF in deposito al Mart, dov’è al centro una figura che il progetto vuol connettere alla santa di Caravaggio, spetta invece il compito d’introdurre una riflessione sul realismo caravaggesco e sui tipi umani che affollano l’arte sua e dei suoi accoliti e che rimandano ai ragazzi di vita di Pasolini (Sgarbi ha spesso sottolineato le affinità, anche fisionomiche, tra i personaggi pasoliniani e quelli dei dipinti di Caravaggio: lo stesso Pasolini, negli anni Settanta, aveva scritto alcune pagine sul pittore lombardo, e in particolare sul Caravaggio realista e popolaresco, rifacendosi ai saggi longhiani sul Merisi).
Caravaggio, Seppellimento di santa Lucia (1608; olio su tela, 408 x 300 cm; Siracusa, Santa Lucia alla Badia) |
Michelangelo Merisi, Flagellazione di Cristo (1607; olio su tela, 286 x 213 cm; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte, in deposito dalla chiesa di San Domenico, proprietà del Fondo Edifici di Culto - Ministero dell’Interno) |
Alberto Burri, Grande ferro (1961) |
Alberto Burri, Grande cretto (1978; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte) |
Cagnaccio di San Pietro, Naufraghi (1934; VAF-Stiftung, in deposito al Mart di Rovereto) |
Per il Mart, il confronto tra antico e contemporaneo non è una novità: la formula del confronto tra un’opera del passato e una del presente fa già parte dell’offerta del museo di Rovereto, che pochi mesi fa ha esposto una Madonna di Bernardo Strozzi a fianco d’un lavoro di Yves Klein (dopo Caravaggio, questo filone proseguirà con Raffaello e Picasso, quindi con Canova e Mapplethorpe). Operazione che, per quanto m’abbia incuriosito (al punto da andare al Mart ad approfondire: ma devo anche ammettere che Strozzi è uno dei miei pittori preferiti) non m’ha entusiasmato più di tanto, così come, per inclinazioni personali, poco m’appassiona il confronto Burri-Caravaggio, pur riconoscendo che non si tratta d’una fisima di Sgarbi, ma trova un suo fondamento in certi rivoli interpretativi già emersi, in passato, dalle penne di critici e storici dell’arte d’indiscutibile autorevolezza.
Ora, il progetto curatoriale può essere condiviso o meno: è certo legittimo anche considerarlo fragile e debole, ma non è questo il punto. Il fatto è che, intanto, la mostra di Strozzi e Klein è stata comunque un’occasione d’approfondimento scientifico, dal momento che la pala del pittore genovese, custodita in una chiesa di Tiarno di Sopra (vicino Trento), durante l’esposizione è stata restaurata: nella sala del Mart deputata a ospitare l’evento (un salone di enormi dimensioni), il dipinto è stato sottoposto a un restauro che s’è svolto ogni giorno sotto gli occhi del pubblico. Anche volendo considerare pretestuoso il confronto con Klein, l’evento ha offerto la possibilità di garantire all’opera un intervento necessario (la pala versava in condizioni tutt’altro che buone: era offuscata da sporcizia, era alterata da ridipinture e soprattutto presentava vistose cadute e lacune), supervisionato dalla soprintendenza e capace di portare gli studiosi a scoprire alcuni dettagli dell’opera che prima non si conoscevano. È stato poi anche un importante momento divulgativo, dacché il pubblico poteva vedere le restauratrici al lavoro e chiedere loro qualsiasi informazione o curiosità.
Ritengo che occorra farsi una domanda: cosa c’è di più scientifico d’un restauro o d’un intervento conservativo necessario? Anche per il Seppellimento di santa Lucia vale lo stesso assunto: la necessarietà dell’intervento è stata sottolineata nella richiesta di prestito al Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, proprietario dell’opera, dove si legge che “il progetto espositivo non ha solamente uno scopo di valorizzazione e ricerca, ma anche e soprattutto conservativo”. Sono, del resto, le stesse direttive ministeriali a sottolineare che la possibilità d’approfondire la conoscenza d’un’opera e l’occasione di restaurarla debbano essere motivi rilevanti per concedere un prestito. E qui non v’è dubbio sul fatto che l’opera si trovi, da anni, in condizioni esecrabili (abbiamo denunciato la sua situazione anche su queste pagine, lo scorso anno): è stata sistemata in una chiesa (Santa Lucia alla Badia) che non è il posto dove dovrebbe stare dal momento che il dipinto è stato trasferito nel 2011 dall’edificio per cui fu realizzato (la chiesa di Santa Lucia extra Moenia) perché l’umidità di quest’ultimo rischiava di comprometterlo definitivamente (e poi perché sussistevano problemi di sicurezza), e per di più, nella sua attuale collocazione, è addossato a un altro dipinto, che rimane pertanto celato agli occhi del pubblico. Il Mart di Rovereto ha messo a disposizione le risorse (350mila euro) che serviranno non solo per finanziare un intervento conservativo che serve e che è irrimandabile, ma anche per dotare l’opera di un climabox, una teca antieffrazione capace di garantire le adeguate condizioni microclimatiche per la conservazione di un’opera che, peraltro, è stata restaurata per l’ultima volta negli anni Settanta, dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma.
Altrimenti, il rischio è quello di veder definitivamente compromessa l’opera: è quello che nel 2019 affermava, su queste pagine, la storica dell’arte e giornalista Silvia Mazza, che ha tenuto accesi per anni i riflettori sull’opera, fino a promuovere nel 2017 un convegno sul suo stato tra le istituzioni interessate, e che oggi è incaricata del coordinamento tecnico delle procedure inerenti il prestito e l’intervento conservativo per la mostra del Mart di Rovereto (i prodromi dell’attuale progetto vanno proprio ricercati tra le maglie di questo lungo e costante interessamento). E certo non si può pretendere che un museo metta a disposizione i fondi per sostenere l’intervento su di un’opera senza che possa esporla: se per noi l’intervento viene prima della mostra, per il museo è la mostra a fornire l’occasione per l’intervento (altrimenti il museo diventerebbe un sodalizio di mecenati).
La mostra che ha messo a confronto Bernardo Strozzi e Yves Klein al Mart di Rovereto. Foto dell’autore |
La mostra che ha messo a confronto Bernardo Strozzi e Yves Klein al Mart di Rovereto. Foto dell’autore |
Che l’intervento conservativo serva e sia anche piuttosto urgente, lo scrivevamo dunque su Finestre sull’Arte già lo scorso anno, ma la situazione dell’opera è nota da anni (almeno nove, se prendiamo come punto di riferimento la data dello spostamento del Seppellimento dalla chiesa nel quartiere di Borgata a quella che si trova in piazza del Duomo): verrebbe dunque da domandarsi dove fossero e di cosa si siano occupati fino a oggi gl’indefessi difensori di Caravaggio. Sull’operazione che coinvolge il Mart è stato detto di tutto. Pur di non far partire il Seppellimento per il Trentino, sono stati avanzati gli argomenti più risibili e più sterili: è stato detto che viaggiano solo le opere siciliane di Caravaggio e che quelle conservate in altre chiese non sono mai state staccate dalle loro pareti (quando in realtà era sufficiente andare a visitare la grande mostra di Palazzo Reale del 2017 per vedere la Madonna dei pellegrini, in prestito dalla chiesa di Sant’Agostino a Roma, ma non solo: l’opera era andata in prestito a Milano anche nel 2006, ed era tornata danneggiata), è stato rinverdito il frusto luogo comune del nord colonialista che spoglia il sud delle sue opere (quando invece, ogni giorno, viaggiano carichi d’opere che si spostano da e verso ogni direzione: pensare che ci sia un accanimento contro il sud o contro la Sicilia significa semplicemente vivere fuori dalla realtà), si è messa in dubbio la capacità da parte del Mart di destinare la cifra dei 350mila euro all’intervento sulla semplice base del fatto che un ddl regionale (e quindi, essendo ddl, ancora lontano dall’essere approvato) prevede tagli per il museo di Rovereto, ci si è rammaricati per il fatto che il Seppellimento non sia stato incluso nell’elenco delle opere inamovibili della Regione Siciliana (quando in realtà il dipinto è di proprietà del Fec e, di conseguenza, la Regione non ha alcuna voce in capitolo sullo spostamento), s’è parlato di “prostituzione” del dipinto per fargli guadagnare un restauro (quando invece, dacché mondo è mondo, per fortuna esistono mecenati e sostenitori che i restauri li finanziano, e non dimenticano un Caravaggio nel degrado, ricordandosene solo quando si paventa la possibilità di spostarlo).
Poi, come se non bastasse, la sezione siciliana di Italia Nostra ha addirittura affermato che l’attuale collocazione del Seppellimento nella chiesa di Santa Lucia alla Badia “risponde meglio alle esigenze della comunità di riferimento”, anche perché la basilica di Santa Lucia extra Moenia “è luogo marginale rispetto al centro storico cittadino e dunque estraneo ai principali flussi turistici siracusani”. Come se Caravaggio fosse un addetto alla promozione turistica e la sistemazione d’un quadro dovesse rispondere a ragioni di marketing invece che a motivi culturali: e se c’è la possibilità di farlo stare nella chiesa per cui fu concepito, sono i motivi culturali che dovrebbero prevalere. E c’è anche chi vorrebbe musealizzare il dipinto: una scelta anacronistica nel 2020, quando le attuali tecnologie ci consentirebbero di evitare traslazioni di tal fatta. È poi vero che la chiesa di Santa Lucia extra Moenia di oggi non è più quella del 1608, ma di sicuro tenere l’opera dov’è stata fino al 2011 (ovvero, nel suo contesto originario) sarebbe sicuramente un’operazione infinitamente meno avventata e arbitraria che rinchiuderla in un museo, oltre che un modo per legare in modo solido Caravaggio al contesto pasoliniano del quartiere di Borgata, sul quale già tanto s’è scritto. Per fortuna c’è però anche chi ha definito “sterili e inutili” le polemiche: è il caso di Legambiente Sicilia (quindi non stiamo parlando di colonialisti settentrionali, ma di un’associazione del territorio, da sempre contraria ai prestiti inutili), che ha definito l’operazione “Caravaggio in Trentino” come “un progetto serio che può finalmente recuperare, restaurare e salvare l’opera, oggi in grave e sicuro pericolo” e ha bollato come dei “provinciali” quanti “hanno creato un inutile polverone, cercando solo pubblicità con facili slogan e inutili allarmismi”.
È poi vero che l’opera è fragile (altrimenti non servirebbe l’intervento: ma è anche vero che, per anni, tutti se ne sono dimenticati). È altresì vero che negli ultimi anni abbiamo assistito a tantissimi spostamenti che si potevano evitare, in quanto inutili e spesso anche dannosi. Possiamo poi affermare che, come per la maggior parte delle rassegne, esiste la probabilità che la mostra “Caravaggio-Burri” risulti tutt’altro che memorabile. Ma più che a un prestito, ci si sta opponendo de facto a un intervento conservativo: il movimento servirà a render possibile l’operazione, che peraltro si svolgerà sotto gli occhi di tutti, così com’è avvenuto per la pala di Bernardo Strozzi, sul cui spostamento nessuno in val di Ledro ha avuto da ridire. E opporsi a un’operazione simile per ragioni che rasentano il puro campanilismo mi pare che rischi di provocare un serio danno all’opera, poiché si finirà col rinviare ulteriormente un intervento necessario, che servirà anche a far tornare l’opera nella sua chiesa (un’operazione che, peraltro, potrebbe essere il preludio per il rilancio di tutto il quartiere di Borgata).
Certo, saremmo tutti più contenti se l’opera venisse restaurata a Siracusa, è ovvio (anche se va in questa direzione la previsione che l’intervento, definito “non più procrastinabile e diversamente non finanziabile” dal vescovo della città siciliana, avvenga sotto l’alta e stretta sorveglianza della Soprintendenza di Siracusa). Tuttavia, non mi pare d’aver sin qui letto di progetti alternativi: sarebbe pertanto auspicabile che chi s’oppone al viaggio in Trentino s’attivi con altrettanta lena per trovare i fondi necessarî per l’intervento (nel caso, non avremmo niente da obiettare, anzi: da queste colonne arriveranno solo complimenti). E, per completare il ragionamento, mi pare che nessuno si stia stracciando le vesti per la partenza della Flagellazione di Capodimonte, dipinto che negli ultimi anni ha già viaggiato in lungo e in largo (anche per mostre inutili) e molto più del Seppellimento, e opera che peraltro partirebbe da un museo che, almeno fino a metà mese, deve già fare a meno d’un importantissimo nucleo di opere, che ha lasciato Napoli a inizio anno per essere esposto in una superflua e scellerata rassegna a Fort Worth negli Stati Uniti (cosa che, manco a dirlo, abbiamo ovviamente sottolineato su queste pagine). Però se lo spostamento è un problema di qualcun altro, allora è tutto a posto (anzi, si esulta): e allora la tutela delle opere ci interessa solo quando gli oggetti si trovano entro i confini regionali?
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Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).