In questa fase attonita della nostra vita sociale si può utilizzare l’isolamento meditativo di molti come ritrovamento e recupero di realtà mirabili che ovunque ci circondano, ciascuna delle quali è certamente portatrice di valori perenni. Sì, marzo era l’antico mese latino dedicato al culto di Anna Perenna e il legame storico con i padri e i costumi dava forza di identità, e noi diremmo oggi di cultura e sapienza fondamentali.
Ci proviamo partendo dalla città elevata quest’anno a “capitale della cultura”, ovvero a Parma, dove il programma stampato a causa del virus deve forzatamente abbandonare le proprie scadenze, ma senza nessuna sensazione nazionale di alcuna perdita. Un programma sventagliato in gran parte su accadimenti transitorii, privo di un dato di elevazione permanente ossia di formazione pubblica sui beni culturali. Occorre pur dire che i Beni Culturali sono quelli del “possesso per sempre” di una civiltà e per questo anche di una città, di un territorio: essi sono il patrimonio vivente della comunità stessa, e per questo sono da rivalorizzare in continuità attraverso le generazioni, diventando in tal modo un bene grande, capace spesso di attirare un desiderio di assunzione universale.
È il caso, ovviamente, delle realtà artistiche di Parma: il fascinoso territorio ricco dei superbi castelli (con Reggio e Piacenza); l’epopea antelamica con Fidenza; le proprie splendide architetture secolari in città, e l’assetto urbano; gli affreschi meravigliosi e indimenticabili entro i suoi monumenti; le raccolte archeologiche e pittoriche che sono davvero senza pari. Su queste realtà nel programma ufficiale, che è ricolmo di parole, non vi è quasi nulla. Dovremmo pur dirci che siamo nel contesto di una Regione che di Beni Culturali ha sempre parlato molto, ma non ha mai promosso un sistema generale di educazione popolare ai Beni: di qui procede una disattenzione diffusa tra la gente, e di qui nascono pure amministratori svagati.
Parma con le torri di San Giovanni, del Duomo e della Steccata. Al centro il solenne Battistero antelamico |
Parma ne è un esempio tranquillo. Sinora il flusso turistico verso la città, in buona parte internazionale, è stata la presenza delle stupende opere del Correggio e del Parmigianino. Si tratta in primo luogo di una antologia pressochè incomparabile di affreschi: le tre cupole correggesche; l’arcone della Steccata del Parmigianino; le altre pareti e vòlte, tutte di autori di alta scuola, che le chiese offrono con una dovizia sorprendente. Inoltre in Galleria alla Pilotta una serie di capolavori che ogni città nel mondo può invidiare. Di queste realtà, quali elementi sostanziali di cultura, nel programma nulla appare. È come se la città negasse se stessa.
Con questo intervento vorremmo supplire un poco alle grandi dimenticanze, memori del “soffio etesio” che Arrigo Boito offrì a Giuseppe Verdi. Nel 2020 ricorre il Quinto Centenario dell’affresco della Cupola di San Giovanni Evangelista, opera strepitosa del Correggio. Dimenticarsi del Correggio a Parma è come se Urbino dimenticasse Raffaello, o Vinci Leonardo, o come se Recanati si scordasse di Leopardi. Eppure già nel 2018 nessuno ha celebrato il Quinto centenario della Camera di San Paolo, “la stanza più perfetta del rinascimento italiano”: un evento pittorico di richiamo mondiale che avrebbe riempito di entusiasmo culturale ogni persona e intere folle, se coinvolte. Per tale stupefacente cosmologia di archeologismo semantico e di umanesimo cristiano non si potè neppure presentare presso di essa l’unica pubblicazione finalmente di lettura innovativa che venne prodotta: di Renza Bolognesi Correggio e la Camera di San Paolo. Svelamenti inediti, Silvana Editoriale, 2018.
Nel 2020, essendo “Parma capitale della cultura” cade il Quinto Centenario di un’opera pittorica pressoché sovrumana che già fu definita “miracol d’arte sanza exemplo” e che realmente ha trasfigurato l’intera prosodia o forma mentis del rinascimento, dando luogo alla nascita del nuovo linguaggio dell’arte. Si tratta della figurazione interna della cupola di San Giovanni Evangelista, insigne basilica del monastero urbano benedettino maschile, per mano del Correggio. La chiesa era allora di recentissima costruzione (1519), di carattere nitidamente classico, già influenzata dall’avvìo bramantesco del San Pietro, e dunque “more romano” dotata di una emergenza cupolare densamente simbolica all’incrocio tra la navata centrale e il transetto. Non soltanto questo elemento solenne denotava l’invaso ecclesiastico, ma tutta l’architettura era stata preordinata per il tema mistico principale dell’espressione del tempio: la celebrazione eucaristica. Cosicché il dotto Abate Girolamo Spinola trovò un correlatore straordinario in Antonio Allegri, trentenne, già dotato di una eccezionale formazione biblica e teologica costruita negli anni del Polirone con il grande monaco Gregorio Cortese, e capace altresì di “cogitare in pittura” in novissimo modo princìpi e scene di assoluta valenza scritturale.
Interno della Basilica di San Giovanni Evangelista in Parma |
Visione verso la cupola dal coro con la chiamata di San Giovanni |
Visione totale della cupola in zenitale dalla navata |
Il Cristo che scende tra lo spessore angelico, cupola di San Giovanni in Parma |
Lunetta con figura di San Giovanni Evangelista giovane, con l’aquila |
Particolare con apostoli assisi sulle nubi |
Il gioco dei putti angelici nella Cupola di San Giovanni |
Secondo l’antica prassi paleocristiana e medievale in una chiesa il pavimento e il tragitto della navata rappresentano il percorso della vita terrena, i pilastri e i muri vengono illustrativamente dedicati agli eventi storici e ai motivi esemplari, mentre il catino e la copertura sono per eccellenza la “pars coelestis”, riservata a Dio e al paradiso. Tali destinazioni figurative sono sempre rimaste, e il Correggio le conferma nel totale progetto pittorico che è chiamato a svolgere. La cupola si presenta come elemento d’eccezione, qui forse fisicamente preparato con la consulenza diretta del pittore: in forma leggermente ovoidale, senza lanternino, con un breve anello a mo’ di tamburo ove si pongono quattro oculi appena percettibili dal basso. Il Correggio, esperto di architettura, fu costantemente presente in Parma durante la composizione muraria della cupola ed è opinione che così la scegliesse per la ragione visiva da lui stesso prevista, ossia con la possibilità di ottenervi una decisa proiezione d’altitudine. Egli dispose tutta la preparazione mistica nel lunghissimo fregio, dedicato ai sacrifici pagani ed ebraici, e il sostegno esegetico - biblico ed evangelico - nei pennacchi e nel ristretto tamburo attraverso le scélte figure dottrinali, riservando alla cupola la suprema presenza divina.
La cupola infatti è concepita dall’artista come il cielo dei cieli, la sommità dell’empireo, l’inattingibile dimora ove Dio sta in excelsis in una eterea luce totale. Ecco la prospettiva dell’irragiungibile ! Di qui una proposizione pittorica che nega totalmente la fisicità del manufatto, che non pone nessuna partizione, come sempre era avvenuto anche per i grandissimi maestri coevi, ma che si riversa in uno spazio senza confini, cosmico e celestiale. Ecco il “miracol d’arte” come ben lo intesero gli stupefatti contemporanei. L’infinito entro il quale si muovono le meravigliose figure ha un soggetto sorprendente, mai veduto e ideisticamente immisurabile, che avviene dopo l’Apocalisse: ed è propriamente San Giovanni Evangelista, l’autore dell’ultimo testo sacro con la sublime rivelazione della Gerusalemme Celeste, che viene chiamato alla vita superna dal Creatore stesso. Cristo scende dall’empireo, dalla luce folgorante tra uno spessore di spiriti angelici, e si avvicina al coro degli Apostoli, sostenuti nel cielo dal medium delle nubi irrorate. Tranne il San Giovanni invocante, al di sotto di queste, ciascuna figura è sospesa, roteante; e libero Gesù si stacca da ogni riferimento fisico mediante un prodigio di pittura. E’ questa libertà nello spazio globulare che nessun maestro, nè Melozzo, nè Mantegna, nè Michelangelo, o Raffaello avevano saputo dare.
Nella successiva cupola del Duomo il Correggio porterà all’estremo ogni possibilità di dipingere dal sott’insù una miriade di personaggi avvitati in un gorgo supremo. Ed è così che l’arte di tutta l’Europa trovò nuovi campi, nuove bellezze di corpi, nuova linfa per secoli. Adunque Parma deve rivedere il suo programma, deve giocare le sue carte in pienezza, certa di essere la città-meraviglia che può richiamare ogni popolo del mondo, oggi e nel futuro, senza dimenticare che il Correggio offre sempre una cultura profonda e una beatificante dolcezza, a dimora dell’anima.
L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.