In un biennio in cui sono state organizzate numerose celebrazioni in tutta Italia per il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci e altrettante si aspettano nel 2020 per ricordare i cinquecento anni dalla scomparsa di Raffaello Sanzio, è passato pressoché inosservato un altro anniversario: il 24 gennaio 1920, a Parigi, ci lasciava Amedeo Modigliani (Livorno, 1884 – Parigi, 1920). Solo Livorno, città natale dell’artista, ha voluto ricordare il centenario della sua morte con una grande mostra a lui dedicata, visitabile fino al 16 febbraio 2020 presso il Museo della Città.
Probabilmente Modigliani si porta ancora dietro il giogo di una personalità tormentata e delle dicerie (verità?) sulla sua condotta bohémienne, poiché si dice facesse uso smodato di alcol e di droga; a questo si aggiunge la sua morte prematura a soli 36 anni a causa di meningite tubercolare, ma che in realtà ha fatto pensare a una conseguenza di un’esistenza fuori dalle righe. Una morte che ha trascinato inoltre nella tragedia la giovane compagna, Jeanne Hébuterne, che, disperata, il giorno dopo si lanciò dalla finestra della sua camera nella casa dei genitori, dal quinto piano, al nono mese di gravidanza, facendo morire anche il secondo figlio della coppia, che lei portava in grembo. Di fronte a tutto ciò cominciò a circolare l’idea di Modì come pittore maledetto, rendendo efficace l’assonanza Modì - maudit.
“Com’è difficile, ancora oggi, ripristinare la realtà del personaggio e la verità storica dei fatti di quella tragedia!” esclama Marc Restellini, curatore della mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre. Intento della rassegna livornese è infatti, secondo le parole del curatore, “restituire a Modigliani il posto che gli spetta, quello di uno dei cinque geni del secolo, pittore e scultore d’avanguardia, nonché inventore di uno standard per le arti primitive insieme a Picasso e Matisse”. Restellini pertanto si domanda: “e se la storia, non soltanto il mercato, approfittasse di questa splendida occasione per rendergli il posto che gli spetta?”. Livorno del resto è sempre stata nel cuore di Modigliani, il loro legame è sempre stato forte, anche quando l’artista si era trasferito a Parigi, dal 1906, ma alla sua città fece ritorno nel 1909 e nel 1913. E ancora una volta si rende tangibile, attraverso questo grande evento, il profondo legame che Livorno sente nei confronti del suo artista.
Come si evince dal titolo, la rassegna è inoltre occasione per presentare al pubblico i capolavori appartenuti ai due collezionisti più significativi che hanno fatto parte della vita di Modì: Paul Alexandre e Jonas Netter. Il primo era un giovane dermatologo che lavorava già in una clinica e, insieme al fratello Jean, destinato a diventare un farmacista come il padre, decise di affittare una villetta abbandonata al numero 7 di rue du Delta per ospitare pittori e scultori, dove questi potevano lavorare e vivere a costi modestissimi. Qui si organizzavano veri appuntamenti fissi, come i “sabati del Delta”, scene di danze pagane, rappresentazioni teatrali, sessioni di musica, il Bal des Quat’z Arts, incontri di poesia, e tante altre iniziative che fecero accrescere sempre più il sodalizio e l’amicizia tra gli artisti. Paul era appassionato d’arte: fin da piccolo, i genitori l’avevano portato al Louvre per avvicinarlo all’arte francese, e grazie al collegio gesuita aveva conosciuto i suoi primi amici artisti, tra cui Maurice Drouard (1886-1915), Henri Doucet (Parigi, 1856 – 1895) e Constantin Brâncuşi (Peştişani, 1876 – Parigi, 1957), che a loro volta trascinarono altri artisti all’interno del gruppo. Questi erano l’uno diverso dall’altro, ma erano accomunati dal loro sostegno economico da parte di Paul Alexandre e dei fratelli Louis ed Emmanuel Saint-Albin. Anche Modigliani entrò successivamente nella cerchia, quasi per caso: Paul aveva cominciato a ricevere i pazienti nella sua clinica vicino a rue du Delta, dove curava le persone di Montmartre. “È esattamente in rue du Delta che lo incontrai per la prima volta nel 1907 e poco dopo, sempre là, gli feci conoscere Brâncuşi”, dichiarò Alexandre. In particolare, sembra che il loro incontro fosse avvenuto grazie a Doucet che frequentava un cabaret di Montmartre, dove erano esposte numerose opere di Maurice Utrillo (Parigi, 1883 – Dax, 1955). Modì frequentava spesso la villetta, portando con sé il necessario per dipingere e qualche tela, ma non si stabilì mai qui: preferiva vivere in un albergo di rue Caulaincourt. Tra Modigliani e Alexandre si instaurò un bel rapporto di amicizia e di stima reciproca; basti pensare che la casa di rue du Delta era tappezzata di quadri dell’artista, motivo per cui nacquero ben presto gelosie tra il resto del gruppo. Ne è testimonianza una lettera di Jean a Paul, datata aprile 1909, in cui si legge: “La grande sala che ho provveduto a ornare con dei Modigliani e delle fotografie di Raffaello, è davvero splendida. Di qui a poco quasi tutti i pannelli avranno almeno un Modì. Doucet è furioso, è la mia piccola vendetta! Ha messo anche il muso! E alla fine ha visto che nessuno lo può sopportare”. E da un racconto di Jeanne Modigliani, figlia dell’artista, sembra che una sera, ebbro di vino e di collera, suo padre distrusse alcune statue di Coustillier e di Drouard a causa di una discussione e questo provocò per l’artista la fine dell’epoca di rue du Delta. Tuttavia, Paul e Amedeo rimasero amici: trascorrevano ore a discutere d’arte, di filosofia, di letteratura; Paul gli commissionava e gli comprava opere, date le condizioni economiche precarie di Amedeo, e pare che sia stato quest’ultimo a far scoprire l’arte africana e le arti primitive al collezionista, che poi lo sostenne nella realizzazione delle sue cariatidi. Il rapporto si concluse però in modo deludente nei confronti di Alexandre, quando quest’ultimo partì per la guerra e Modì si affidò completamente dal 1914 a Paul Guillaume, mercante d’arte e grande esperto della cosiddetta art nègre. Nonostante questo finale, Alexandre possedeva una rilevante collezione di opere giovanili dell’artista costituita da circa venticinque dipinti e oltre quattrocento disegni, ma soprattutto lo aveva letteralmente sostenuto e lo aveva aiutato a ottenere un riconoscimento artistico.
Immagini dalla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre |
Immagini dalla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre |
Immagini dalla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre |
Immagini dalla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre |
Immagini dalla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre |
L’incontro con Jonas Netter avvenne invece grazie al poeta e mercante polacco Léopold Zborowski: i due si erano conosciuti a seguito di un incontro di Netter con un’opera di Utrillo nell’ufficio del prefetto Zamaron, dipinto che era stato venduto a quest’ultimo da Zborowski. Di lì a poco Netter affidò al polacco la gestione dei rapporti con gli artisti, mentre, in una sorta di collaborazione, il primo si occupava di saldare gli stipendi e le spese. Modigliani fu così il primo artista a legarsi con un contratto esclusivo a Zborowski dal 1916, staccandosi definitivamente da Guillaume che si dimostrava più interessato alle sue opere che al rapporto umano. Fu grazie al mercante polacco che venne realizzata nel 1917 la prima grande personale di Modì, allestita presso la galleria Berthe Weill, al centro di uno scandalo per via dell’esposizione in vetrina di molti nudi: intervenne persino la polizia che minacciò di sequestrare le opere se non fossero state subito ritirate. Negli anni successivi Zborowski, con l’appoggio di Netter, fece esporre dipinti di Modigliani in varie mostre, alla Hill Gallery di Londra, alla Mansard Gallery e soprattutto in una galleria della rue du Faubourg Saint-Honoré, dove erano esposte anche opere di Picasso e di Matisse, contribuendo perciò a far circolare e conoscere l’arte del pittore italiano.
Quando Modigliani morì nel 1920, Parigi era nel pieno dei cosiddetti années folles, gli anni appena successivi alla fine della guerra, nei quali si diffuse la libertà su tutti i fronti. Montparnasse, sostituendosi a Montmartre, diventò in particolare il luogo parigino di grande fervore culturale, dove si ballava, ci si divertiva, si davano feste. La parola chiave era “liberamente”: l’amore libero, l’arte libera. Dal punto di vista artistico però i mercanti d’arte sfruttarono la tragedia di Modì per alzare il valore delle sue opere all’interno del mercato, contribuendo in questo modo ad accrescere maggiormente, a loro favore, la sua figura di pittore maledetto.
Nell’ottica, come già affermato, della mostra livornese di ripristinare a Modigliani il posto che gli spetta attraverso la storia, sono state riunite ventisei opere dell’artista, tra dipinti e disegni, provenienti dalle collezioni di Paul Alexandre e di Jonas Netter: nello specifico si tratta di dodici disegni dalla prima e quattordici opere dalla seconda. Se ci si aspetta quindi di visitare una rassegna monografica, interamente costituita dai lavori di Modì, si sbaglia decisamente approccio, in quanto a questi è stata dedicata, potremmo dire, la parte centrale dell’intera esposizione e tutt’intorno i visitatori potranno ammirare oltre cento capolavori, riuniti da Netter fin dal 1915, dei numerosi artisti che fecero parte dell’École de Paris, ovvero la grande varietà di autori che trovarono nella città di Parigi, a partire dagli inizi del Novecento, il luogo ideale per esprimere la loro arte e la loro creatività.
Tra i capolavori in mostra realizzati da Modigliani si trovano nudi e ritratti disegnati e dipinti, teste frontali e di profilo che evocano l’arte africana, caratterizzati da volti affilati con occhi grandi e ovali, nasi lunghi e bocche piccole, e le immancabili cariatidi, tra cui la rotondeggiante e sinuosa Cariatide (bleue) del 1913 circa in matita blu su carta. Nei suoi ritratti si riconoscono Béatrice Hastings, giornalista e poetessa inglese che ebbe una relazione con Modì ai tempi di rue du Delta, il mercante d’arte Zborowski e la sua donna Hanka Zborowska, l’amico artista Chaïm Soutine (Smilovici, 1893/94 – Parigi, 1943) e ovviamente la giovane compagna Jeanne Hébuterne raffigurata in Jeune fille rousse rivolta con naturalezza verso l’osservatore e in Jeanne Hébuterne au henné. Unica bambina, dipinta a figura intera, è la tenera Fillette en bleu che indossa un vestitino azzurro, del colore dei suoi occhi.
Amedeo Modigliani, Cariatide (bleue) (1913 circa; matita blu su carta, 56,5 x 45 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Béatrice Hastings. Le menton appuyé sur la main droite (1915; olio su carta, 42 x 25 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Léopold Zborowski (1916; olio su tela, 46 x 27 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Hanka Zborowska (1918; matita su carta, 42 x 26 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Chaïm Soutine (1916; olio su tela, 100 x 65 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne) (1918; olio su tela, 46 x 29 cm; Collezione Jonas Netter) |
Amedeo Modigliani, Fillette en bleu (1918; olio su tela, 116 x 73 cm; Collezione Jonas Netter) |
La rassegna si apre con una notevole selezione di opere di Suzanne Valadon (Bessines-sur-Gartempe, 1865 – Parigi, 1938), ben dodici: in questo corpus di capolavori realizzati dalla madre di Maurice Utrillo, il visitatore ha occasione di ripercorrere i temi principali dell’artista, dai nudi femminili ritratti in ambienti privati o in paesaggi verdeggianti, come bagnanti, ad esempio in Trois nus à la campagne o in Nu se coiffant, ai paesaggi, alle vedute, alle nature morte e ai fiori. Le donne rappresentate, formose, richiamano Gauguin, mentre l’energia pittorica con la quale esegue i suoi quadri fa pensare a Van Gogh. Suzanne, il figlio e il compagno André Utter, amico di Maurice, erano soprannominati la trinité maudite per via della vita di eccessi che conducevano: le vendite delle opere di Utrillo andavano alla grande, ma quest’ultimo aveva qualche problema con l’alcol; beveva e per questo si ritrovava spesso in ospedale o alla polizia. Le sue opere, perlopiù paesaggi, strade di quartiere e chiese, immortalano Montmagny, dove abitava da bambino, Montmartre, dove si stabilì successivamente, e altri angoli di periferie, in cui la presenza umana è pressoché assente.
L’influsso di Gauguin si percepisce ancora ne Les Grandes Baigneuses di André Derain (Chatou, 1880 – Garches, 1954), sia nei colori che nel rimando a raffigurazioni esotiche.
A Montparnasse si era trasferito anche l’artista polacco Moïse Kisling (Cracovia, 1891 – Sanary-sur-Mer, 1953): dipingeva in uno studio aperto a tutti, sempre affollato, ma quando giungeva la sua modella, era sempre pronto a ritrarla in una sua opera. Anche Modigliani lo andava a trovare tutti i giorni nel suo studio e qui lavoravano insieme, con la stessa modella. Ogni mercoledì invitava a pranzo pittori, scrittori, musicisti, politici, e dopo pranzo si discuteva di varie tematiche davanti a un bicchiere di armagnac. Inizialmente influenzato da Cézanne, Kisling scelse di adottare una pittura brillante; si dice che irradiasse energia, mescolando vita, amore, sensualità e pittura. L’artista voleva cogliere lo splendore dell’istante e nei suoi quadri predominano le tonalità sonore, impastate di luce. Dipingeva ovunque, soprattutto nudi, ma anche bambini dall’espressione nostalgica, paesaggi, nature morte e fiori.
I suoi colori vibranti colpiscono lo sguardo del visitatore, in opere come La femme au pullover rouge, dove una donna bruna, concentrata nel suo lavoro, indossa uno splendido maglione rosso che risalta sull’intera tela, o in La jeune cuisinière, dove il marrone, il giallo, il rosso, il viola, il verde creano contrasti di colore particolari e suggestivi. Veri giochi di colore che esaltano anche un mare con barche in primo piano, come in St-Tropez, Septembre. Inoltre Kisling ha realizzato un ritratto quasi fotografico di Jonas Netter, dipinto che è entrato a far parte proprio dell’importante collezione di quest’ultimo.
Un forte legame di amicizia legava poi Modigliani all’artista russo Chaïm Soutine: per quest’ultimo Modì era un modello ideale, e viceversa Modì apprezzava il talento di Soutine. Fu il pittore livornese a far incontrare l’amico con Zborowski, che però non rimase affascinato né dalla persona né dalla sua arte. Tuttavia, prima di morire, Modì lo affidò completamente al sostegno del mercante, anche se questo fu molto limitato. Zborowski non credeva nel suo talento e, dal canto suo, Soutine si dice fosse nevrastenico, malaticcio, ipersensibile, timido, e soggetto a crisi d’ira e a fissazioni. Era solito realizzare le sue opere in uno stato di febbrile ispirazione, ma, costantemente insoddisfatto, spesso lui stesso distruggeva i suoi dipinti precedenti. Come affermò il critico d’arte francese Raymond Cogniat, nella sua opera non si trovava “un’immagine indulgente o tenera, un sorriso affettuoso, in quel suo gioco al massacro, così come nella sua inquietudine non vi fu mai requie, neppure quando le circostanze lo permettevano. La bruttezza era il suo terreno, l’inquietudine il suo clima, la passione il suo stato permanente”. Una descrizione che risulta calzante se si osservano le sue opere, quali La Folle, la Femme en vert, ma anche i suoi paesaggi che trasmettono inquietudine e tormento, come ad esempio Les grands arbres bleus o Paysage montagneux, e la carne squartata di Le Boeuf. Ma il senso d’inquietudine pervade anche i quadri di Maurice de Vlaminck (Parigi, 1876 – La Tourillière, 1958), soprattutto per i toni cupi e le raffigurazioni di paesaggi nel pieno della tempesta.
Suzanne Valadon, Nu se coiffant (1916; olio su tela, 100 x 61 cm; Collezione Jonas Netter) |
Suzanne Valadon, Trois nus à la campagne (1909; olio su cartone, 61 x 50 cm; Collezione Jonas Netter) |
André Derain, Les grandes baigneuses (1908; olio su tela, 178 x 225 cm; Collezione Jonas Netter) |
Moïse Kisling, La femme au pull-over rouge (1917; olio su tela, 93 x 65,5 cm; Collezione Jonas Netter) |
Moïse Kisling, La jeune cuisinière (1910; olio su tela, 130 x 89 cm; Collezione Jonas Netter) |
Moïse Kisling, Portrait d’homme (Jonas Netter) (1920; olio su tela, 116 x 81 cm; Collezione Jonas Netter) |
Moïse Kisling, St-Tropez, Septembre (1918; olio su tela, 65,2 x 54,2 cm; Collezione Jonas Netter) |
Chaïm Soutine, La folle (1919 circa; olio su tela, 87 x 65,1 cm; Collezione Jonas Netter) |
Chaïm Soutine, Les grandes arbres, Céret (1922 circa; olio su tela, 66 x 64 cm; Collezione Jonas Netter) |
Chaïm Soutine, Paysage montagneux (1920 circa; olio su tela, 85 x 74,8 cm; Collezione Jonas Netter) |
Altri numerosi artisti appartenevano all’École de Paris, ciascuno con le proprie caratteristiche pittoriche, una diversa dall’altra, producendo a Parigi una delle più grandi varietà di dipinti mai esistite nello stesso arco di tempo. Nell’ultima parte della mostra, il visitatore troverà una carrellata di artisti poco noti, se non sconosciuti rispetto ad autori come quelli citati in precedenza, ma che in quell’epoca hanno popolato l’ambiente artistico parigino, a loro modo quindi importanti per comprendere complessivamente il contesto in cui si era calato Modigliani. Sono perciò visibili le nature morte di Henri Hayden (Varsavia, 1883 – Parigi, 1970), il Portrait de femme di Adolphe Feder (Odessa, 1886 – Auschwitz, 1943 ?), un paesaggio con una casa dietro alberi di Renato Paresce (Carouge, 1886 – Parigi, 1937); opere accomunate dal pieno influsso cubista. Più vicini a Van Gogh e a Cézanne i dipinti di Pinchus Krémègne (Zaloudock, 1890 – Céret, 1981); e ancora, sono esposti paesaggi, nudi, ritratti di Jan Waclaw Zawadowski (che si firmava Zavado sotto suggerimento di Zborowski), di Isaac Antcher con i suoi alberi (Peresecina, 1899 – Malakoff, 1992), di Gabriel Fournier (Grenoble, 1893 – Fontainebleau, 1963), di Eugène Ébiche (Lublin, 1896 – Varsavia, 1987, di Zygmunt Landau (Lodz, 1898 – Tel-Aviv, 1962). E addirittura composizioni di Jean Hélion che rimandano a Mondrian.
Tra i meriti di questa grande rassegna c’è anche quello di aver presentato una vasta prospettiva di quell’ambiente e di quegli anni; un ventaglio di artisti che hanno fatto di Parigi la città fulcro dell’arte per eccellenza, dove la diversità ha dato frutti positivi.
Nel catalogo dell’esposizione, oltre ai saggi dedicati ai due preziosi collezionisti Netter e Alexandre, sono illustrati, ognuno con la propria biografia, tutti gli artisti che hanno preso parte all’avventura di Montparnasse.
Il palcoscenico d’onore spetta comunque a Modigliani e ci si augura, grazie a questa mostra, che la sua figura venga apprezzata sempre più per ciò che ha prodotto nella sua arte piuttosto che per l’immaginario che è stato creato attorno a lui.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.