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Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 14/10/2019
Categorie: Interviste / Argomenti: Arte contemporanea
Intervista a Vittoria Martini, curatrice della mostra “Artissima Telephone”, che aprirà in occasione di Artissima 2019.
L’edizione numero 26 di Artissima, la grande mostra-mercato d’arte contemporanea che si terrà a Torino dal 1° al 3 novembre 2019, vedrà, tra i varî progetti, anche la mostra Artissima Telephone, una rassegna che avrà luogo negli ambienti delle OGR - Officine Grandi Riparazioni. La mostra, ideata da Ilaria Bonacossa e curata da Vittoria Martini, continua l’indagine sul suono che Artissima ha lanciato lo scorso anno, e proporrà al pubblico una ricognizione sul telefono come mezzo di espressione artistica. Come si fa arte con il telefono, soprattutto oggi, nell’era degli smartphone? Quali le tappe della storia dell’arte fatta attraverso il telefono? Quali sono le dinamiche sociali trasformate dal telefono? Di tutto questo abbiamo parlato con la curatrice Vittoria Martini. L’intervista è condotta da Federico Giannini.
FG. Quest’anno, ad Artissima, Lei curerà una mostra intitolata Artissima Telephone. Può darci qualche anticipazione sul progetto?
VM. La mostra nasce da un’idea di Ilaria Bonacossa, in continuità con l’indagine sul suono iniziata lo scorso anno con Artissima Sound e a partire dal presupposto che il telefono è oggi la fonte principale dei suoni che riempiono le nostre vite. Ilaria mi ha invitato a ragionare insieme sul telefono come medium artistico: un campo di ricerca molto complesso e variegato se si pensa che fino all’inizio degli anni Duemila era il principale mezzo di comunicazione tra le persone e serviva soltanto per parlare, mentre oggi il telefono che ognuno di noi ha in tasca è prima di tutto un device di intrattenimento e autoespressione, e poi anche di comunicazione. Lo smartphone ha ridisegnato un nuovo ecosistema e ha cambiato la geografia delle nostre menti. Comunichiamo incessantemente ogni giorno con centinaia di persone, registriamo lunghi messaggi che sono soliloqui che ovviano il tempo di scrittura di un messaggio, ma evitiamo la “telefonata”: parlare con qualcuno, dialogare, conversare sembra essere diventato un gesto intimo, esclusivo e riservato solo alle poche persone che hanno a che fare con la nostra sfera famigliare o intima. Con Artissima Telephone vi renderete conto di come semplicemente compiendo dei gesti - quali girare la rotella di un telefono per comporre un numero o tirare su una cornetta appoggiandosela all’orecchio (gesti che per molti di noi sembrerà una reminiscenza di qualcosa di passato e per molti giovani un gesto sconosciuto) - tutta la concentrazione sarà attirata dalla fonte del suono. Questa sensazione abbastanza sconvolgente emerge dal contrasto con la comunicazione troppo veloce di oggi in cui i vari livelli si incrociano ed e-mail, whatsapp, instagram, messaggi vocali si sovrappongono alle parole della persona reale che abbiamo di fronte, facendole perdere efficacia. Comunichiamo più che mai velocemente, e dunque semplicemente, con immagini e emoji e si sta perdendo la complessità di un dialogo costruito con le parole. Non è nostalgia, è un dato di fatto. Come diceva qualcuno, ci sono modi utili o dannosi per navigare nel mondo offline, e lo stesso vale per il mondo digitale. Si capisce da questi presupposti che Artissima Telephone apre a un campo di indagine molto ampio che tocca molti livelli e ha a che fare con il nostro attuale vivere nel mondo.
Obiettivo è quello di indagare il telefono come mezzo espressivo artistico. Quali potrebbero essere alcune tappe fondamentali nella storia del telefono come mezzo per fare arte?
L’indagine sul telefono come mezzo espressivo artistico ha le sue radici in una storia iniziata quasi cent’anni fa, nell’esperienza Bauhaus di László Moholy-Nagy dei primi anni Venti. I Construction Enamel (Telephone Pictures), 1923, sono una sperimentazione sia tecnica che concettuale dal momento che l’artista comunicò al telefono alla fabbrica di smalti le istruzioni per come realizzare le opere, enfatizzando la distanza a lui contemporanea sia dal processo di produzione che da quello di mediazione. L’artista nell’epoca moderna, come diceva Walter Benjamin, era produttore di idee piuttosto che di oggetti. La storia del telefono come mezzo espressivo non può non soffermarsi sull’iconografia surrealista e in particolare di Salvador Dalí e di opere come Mountain Lake (1938) in cui in un paesaggio desolato campeggia un telefono disconnesso o Lobster Telephone (1936) che rimanda di nuovo all’impossibilità della comunicazione mettendo insieme due oggetti disparati e aggiungendo l’idea del telefono come oggetto rivelatore di desiderio segreto e inconscio che va di pari passo con le sue connotazioni sessuali: piacere erotico e dolore. Marcel Duchamp congiunge i punti storici anche in questo caso poiché dell’arte della delegazione per la produzione dell’opera, ne ha fatto una metodologia. L’artista è il filo rosso che porta direttamente all’arte concettuale se si pensa che la sua ricerca è stata anche base teorica per la mostra Art by Telephone che si tenne nel 1969 al Museum of Contemporary Art di Chicago. Si può poi citare John Cage e la complessa performance Variation VII in cui applicando il principio di casualità, cercò di rendere udibili, nello stesso posto, suoni emessi simultaneamente da una varietà di fonti. Utilizzò diversi mezzi di comunicazione come radio e telefoni e raccolse le onde cerebrali dei suoi collaboratori sul palco. In questa performance dieci telefoni erano connessi simultaneamente con dieci diversi luoghi di New York e sul palco arrivavano i suoni delle conversazioni telefoniche che avvenivano in quel momento. Era il 1966 ed era previsto il coinvolgimento del pubblico. Si può poi citare John Giorno e la sua opera-antologia di poesia contemporanea Dial-a-poem (1968) che ha coinvolto qualcosa come cinque milioni di persone, diventando un format. Poi mi viene in mente un lavoro più recente, un video del 1995 di Christian Marclay, Telephone, che propone una sinossi dell’evoluzione dell’utilizzo del telefono attraverso spezzoni di film, fino ad arrivare ai giorni nostri con il già iconico Bad Dad & Beyond (2015) di Camille Henrot in cui il telefono torna e diventa scultura interattiva: analogico, ricorda quello pubblico con la cornetta, ma è gigantesco, come un giocattolo colorato. È realizzato con una stampa 3D e, digitando i numeri, si possono sentire soltanto voci registrate. Si può dire pertanto che tutti gli aspetti concettuali erano già stati delineati prima degli anni Novanta. Ma come è cambiato l’approccio degli artisti con il passaggio dall’analogico al digitale? È dunque interessante vedere come Artissima Telephone proponga una fotografia dello stato dell’arte attuale, tramite gli artisti e le opere proposti dalle gallerie partecipanti in fiera.
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Salvador Dalí, Lobster Phone (1936; acciaio, gesso, gomma, resina e carta, 17,8 x 33 x 17,8 cm; Londra, Tate Modern). Opera non in mostra
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John Giorno, Dial-a-poem (1968-2012; quattro telefoni ognuno contenente registrazioni di 80 poeti che leggono 200 poesie proposte in maniera casuale all’ascoltatore, 22 x 26 x 12 cm ciascuno; Parigi, Fondation Louis Vuitton). © John Giorno - Photo Fondation Louis Vuitton / Félix Cornu. Opera non in mostra
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Christian Marclay, Telephones (1995; video installazione, durata 7:30 minuti). Opera non in mostra
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È indubbio che la facilità con la quale oggi i telefoni permettono di farci scattare fotografie ci abbia dotato di un potenziale espressivo che era sconosciuto anche solo fino a pochi anni fa. E con il telefono si sentono un po’ tutti artisti. È un’opportunità o una banalizzazione, secondo Lei?
Il fatto non è che tutti si possono sentire artisti perché possono esprimersi con il mezzo fotografico, non credo sia questo il punto. La questione è che il telefono da strumento di comunicazione orale tra le persone, oggi è diventato la porta di accesso alla rete, al mondo digitale, mezzo di intrattenimento e luogo di costruzione della propria identità virtuale. È più interessante indagare la società delle immagini contemporanea, riflettere su come si sia giunti a una comunicazione in cui le immagini sostituiscono le parole. È interessante anche tenere a mente la trasformazione avvenuta: una perdita della naturale percezione temporale dovuta a un’accelerazione generalizzata della comunicazione, una perdita dunque di ritmi ancestrali, di tempi morti, di pause. Il telefono di oggi connette tra loro le persone, ma contemporaneamente disconnette le azioni dai loro effetti, ed è così veloce da obbligarci ad avere reazioni istantanee e ragionare velocemente. La fotocamera integrata al nostro device connesso ventiquattro ore su ventiquattro, più che altro, permette di progettare continuamente la propria identità e consente di dare voce a tutti, esponendo la vita di chiunque. È interessante analizzare come le opinioni altrui inondino e siano centrali per le nostre vite, e un like in più o in meno permetta di correggere continuamente la narrazione della nostra realtà digitale, spesso edulcorazione di quella analogica. È nel 2013 che entra nell’Oxford English Dictionary il termine “fomo” che significa “fear of missing out”, indice di un’ansietà diffusa e generalizzata di cui tutti soffrono al costante pensiero di cosa gli altri pensino di noi. Questo ci allontana dalle nostre vite, genera infelicità e perdita di senso di sé. Sempre più per pensare o per riconnetterci con noi stessi, abbiamo bisogno di disconnetterci.
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Anna Maria Maiolino, João & Maria [Hansel and Gretel] (2009/2015; video, durata 4:08, con la partecipazione di Sandra Lessa e João Araújo, fotografia di Anna Maria Maiolino e Marianna Zanotti, editing e suono di Anna Maria Maiolino e Mateus Pires). Courtesy the artist and Galleria Raffaella Cortese, Milano
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Shadi Habib Allah, Did you see me this time, with your own eyes? (2018; telefoni 2G, micro controller, Raspberry Pi, Relé, caricabatterie, dimensioni variabili). Courtesy the artist and Rodeo, London, Piraeus
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Michele Spanghero, Smart Phone (2019; file audio, durata 4:33). Courtesy the artist and Galerie Alberta Pane Paris, Venezia and Galerie Mazzoli Berlin, Modena, Düsseldorf
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Xiaoyi Chen, I will never speak to god again (2017; installazione audio, durata 19:31). Courtesy of Matèria and the artist
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Axel M., Typing... (2019; pastello su carta, 20,1 x 22,4 cm). Courtesy the artists
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Se leghiamo il tema della mostra a quello di Artissima, potremmo facilmente entrare nella catena telefono-desiderio-censura e riflettere sul fatto che il telefono è uno strumento molto potente ma, come ogni strumento dotato di grande potenza, rischia di finire fuori controllo, e dall’altro lato spesso i modi in cui molti si esprimono sono oggetto di censura (basti pensare a quello che avviene quotidianamente sui social network). In questo senso, come il telefono ha cambiato il nostro modo d’interagire con il nostro spazio intimo e con lo spazio pubblico che ognuno di noi occupa?
Artissima Telephone si lega naturalmente al tema della fiera di quest’anno “desiderio/censura”. Infatti se il telefono, proprio a partire dall’iconico Lobster Telephone, è oggetto di desiderio a carica fortemente erotica, in realtà oggi offre paradossalmente l’impressione di privacy lontana dai vincoli sociali, dove dare spazio e espressione al desiderio, ma in realtà è il luogo di una sfera privata costantemente controllata, strumento che monitora continuamente la posizione e le scelte di ciascuno.
Nella presentazione della mostra si legge che Artissima Telephone proporrà opere che generano forme di “resistenza attiva” suggerendo un “ascolto” più profondo. Che cosa significa? E quali sono alcune delle opere che vedremo in mostra?
Il tempo analogico è un tempo più lento, in mostra bisognerà avere pazienza, aspettare, avere tempo. Accanto al telefono ci saranno delle istruzioni, ma soprattutto una per tutte che potrebbe essere sintetizzata con un “attendere prego, la chiamata è in trasferimento”. Oggi abbiamo internet velocissimo, le risposte ai messaggi sono simultanee, si può conversare via chat, e per questo si è persa la memoria di quando internet era lentissimo e esistevano le telefonate intercontinentali che costavano una fortuna, si facevano una volta ogni tanto, mentre ora posso avere un figlio in Australia e sentirlo più sovente di quando stava chiuso nella sua cameretta di casa. Proprio l’attesa, il gesto di tirare su il ricevitore e comporre il numero, già di per sé richiede un ascolto più profondo e attento. In Artissima Telephone sentirete tante storie raccontate attraverso la cornetta, entrerete in vite altrui invadendo una privacy famigliare, origliando, come nel lavoro di Myles Starr, oppure cercherete di capire da cosa siano emessi quei suoni sommersi che si intrecciano a delle parole che non vorremmo sentire, come nell’opera di Marzia Migliora.
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Marzia Migliora, Rada #E, dettaglio (2011; disegno e tecnica mista su carta, 22,5 x 38 cm; Collezione privata). Courtesy the artist and Galleria Lia Rumma, Milano, Napoli and Telefono Rosa Torino
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Myles Starr, Langosta, Farfalle and Cherry Tomatoes (2019; olio su tela, 180 x 120 cm). Courtesy the artist and VIN VIN Gallery, Vienna
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Glenda León, Hablando con Dios / Talking to God, fotogramma (2018; video installazione, durata 5:25). Courtesy the artist
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Michelangelo Pistoletto, Smartphone - uomo appoggiato (2018; serigrafia su specchio in acciaio inox, 250 x 150 cm). Photo Nicola Morittu, Courtesy Galleria Giorgio Persano
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Cesare Viel, Richiamato (2019; inchiostro su carta, 21 x 30 cm). Courtesy pinksummer, Genova
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).