di
Ilaria Baratta
, scritto il 03/10/2019
Categorie: Opere e artisti - Quaderni di viaggio / Argomenti: Peggy Guggenheim - Novecento - Venezia
Come nacque e si sviluppò la collezione di Peggy Guggenheim, quali furono i suoi interessi, quali gli artisti con i quali dialogò.
“Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Venire a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro” così si legge in Una vita per l’arte, l’autobiografia di Peggy Guggenheim (New York, 1898 – Camposampiero, 1979) pubblicata nel 1979, anno della sua scomparsa. E certamente Peggy conobbe molto bene quel sentimento: un legame corrisposto con la sua città d’adozione, nella quale trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita, dal 1949 al 1979.
Quando giunse in laguna, Peggy era già molto conosciuta nel mondo dell’arte contemporanea come gallerista e collezionista: la sua carriera in questo ambito ebbe infatti inizio nel 1938, a soli a trentanove anni, con l’apertura della sua prima galleria d’arte a Londra, a cui diede il nome di Guggenheim Jeune; anche le sue amicizie appartenevano pienamente al mondo artistico: si pensi che aveva già stretto rapporti di amicizia con Brancusi, Duchamp e con lo scrittore Samuel Beckett, che la incitarono a dedicarsi all’arte contemporanea, perché “cosa vivente”, e l’aiutarono a inserirsi sempre più in quell’ambiente. Dopo l’esperienza londinese e acquistando secondo i suoi intenti un quadro al giorno per arricchire la sua collezione, nel 1942 inaugurò a New York un’altra galleria, scegliendo di denominarla Art of This Century. Analogamente, negli Stati Uniti si circondò di artisti, anche fino ad allora sconosciuti, ai quali dedicò esposizioni temporanee, tra cui Mark Rothko, Robert Motherwell e Jackson Pollock; in particolare promosse attivamente quest’ultimo, vendendone le opere e dedicandogli la prima personale della galleria alla fine del 1943. Ed è grazie a Peggy che lo stesso Jackson Pollock (Cody, 1912 – Long Island, 1956) poté esporre per la prima volta in Europa le sue creazioni, proprio in occasione della Biennale di Venezia del 1948, alla quale lei partecipò portando capolavori della sua collezione nel padiglione greco. Quest’esperienza la fece innamorare della città di Venezia, tanto da decidere di trasferirsi tra gondole e canali nel 1949 con la sua collezione completa, acquistando lo splendido Palazzo Venier dei Leoni, dove tuttora è visitabile la The Peggy Guggenheim Collection. Progettato dall’architetto Lorenzo Boschetti, il palazzo venne iniziato a costruire nel 1748, ma per ragioni ancora non ben chiare rimase incompiuto; tuttavia della sua particolarità e della sua luminosità Peggy Guggenheim rimase ammaliata e in effetti tuttora le sue vetrate e la sua terrazza direttamente sul canale lo rendono uno dei palazzi più suggestivi di Venezia.
È da questi presupposti che l’odierna galleria-museo ha pensato di realizzare una mostra omaggio che racconti la vicenda veneziana di Peggy Guggenheim e la sua collezione post 1948, ovvero dalla chiusura della galleria newyorchese Art of This Century e dal trasferimento a Venezia fino alla scomparsa della mecenate, nel 1979. Un periodo di trent’anni che ha visto susseguirsi mostre, eventi, conoscenze che hanno influito sul legame personale tra Peggy e Venezia, ma anche sulla visione di Peggy nel mondo dell’arte sia come donna che come collezionista. Non a caso è stato scelto come titolo della rassegna, visitabile al pubblico fino al 27 gennaio 2020, Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa, sottolineando il ruolo di spicco che esercitò in quegli anni in laguna e che tutt’oggi se ne rende percepibile l’eredità come icona.
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Peggy Guggenheim nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni Cinquanta. Alle sue spalle Karel Appel, Il coccodrillo piangente cerca di afferrare il sole (The Crying Crocodile Tries to Catch the Sun), 1956. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada.
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Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, primi anni Sessanta. Alle sue spalle Fernand Léger, Uomini in città (Les Hommes dans la ville), 1919. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio Cameraphoto Epoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.
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Peggy Guggenheim con i suoi terrier Lhasa Apsos sulla terrazza di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, fine anni Sessanta. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio Cameraphoto Epoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.
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Peggy Guggenheim all’entrata di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, 1967. Courtesy The Solomon R. Guggenheim Foundation
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Peggy Guggenheim in gondola, Venezia, 1968. Photo Tony Vaccaro / Tony Vaccaro Archives
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Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni Sessanta. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada
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Peggy Guggenheim in gondola sul Canal Grande, Venezia, 1975. © Gianfranco Tagliapietra Interpress Photo.
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Peggy Guggenheim al Gritti Palace in occasione della festa per il suo 80° compleanno, Venezia, 26 agosto 1978. © Gianfranco Tagliapietra Interpress Photo.
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Come già affermato, il legame di stima reciproca tra Peggy e Pollock precedente al trasferimento a Venezia sfociò nella Biennale del 1948, in occasione della quale la collezionista ebbe modo di farsi conoscere in laguna, allestendo la prima ricca e ampia rassegna di arte moderna in Italia dopo il regime, e Jackson Pollock debuttò in Europa. A quest’ultimo venne dedicata due anni dopo una rassegna, la prima personale dell’artista fuori dagli Stati Uniti, con ventitré opere nell’Ala Napoleonica del Museo Correr, tra cui espose anche dieci dei suoi dipinti a colatura. L’Ultima Dogaressa prende le mosse proprio da opere dell’artista americano, tra le quali The Moon Woman e Alchemy realizzate tra il 1942 e il 1947. Quest’ultima in particolare fu tra le prime eseguite con la tecnica del dripping: segni primitivi fatti spremendo il colore bianco direttamente dal tubetto sono sparsi in modo irregolare sulla tela. Tuttavia, anche se Pollock fu il caso più eclatante, bisogna ricordare che nella Biennale del 1948 furono presentati sulla scena europea altri pittori americani, come Mark Rothko (Daugavpils, 1903 – New York, 1970), Robert Motherwell (Aberdeen, 1915 – Provincetown, 1991), Arshile Gorky (Khorkom, 1904 – Sherman, 1948) e Clyfford Still (Grandin, 1904 – Baltimora, 1980), anch’essi presenti con opere di quell’epoca all’odierna mostra veneziana.
Nel settembre 1949, quando oramai Peggy era già diventata cittadina veneziana, decise di aprire al pubblico il giardino della sua nuova casa e lo fece con altro evento mondano: la Mostra di scultura contemporanea, attraverso cui pensò di presentare acquisizioni della sua collezione che intendevano concretizzare i vari linguaggi della scultura moderna e rendere manifesto il suo interesse per le avanguardie europee. Vennero pertanto esposte venti sculture di Jean Arp (Strasburgo, 1887 – Basilea, 1966), Constantin Brancusi (Pestisani, 1876 – Parigi, 1957), Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 1901 – Coira, 1966) e di altri esponenti del Novecento: tra queste, Testa e conchiglia di Arp, prima opera a entrare nella collezione Guggenheim nel 1938 e piccolo capolavoro tra i più significativi pezzi protagonisti della recente retrospettiva dedicata all’artista di Strasburgo; Uccello nello spazio di Brancusi, dove l’idea del volo è rappresentata da una forma aerodinamica in ottone lucidato, e Piazza di Giacometti, lavoro in bronzo in cui cinque figure esili sembrano camminare su una grande piazza senza incontrarsi mai a significare come ognuno viva la propria individualità senza dare importanza alla socialità e alla comunità.
Con il trasferimento a Venezia, Peggy partecipò pienamente anche all’arte italiana, sostenendo alcuni artisti italiani locali e acquistando le loro opere: tra questi era Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), che dal secondo dopoguerra aveva cominciato a dedicarsi all’arte astratta e all’Informale. Sua è Immagine del tempo (Sbarramento), tempera d’uovo su tela in cui domina il nero con sprazzi di rosso e di giallo, attraverso cui l’artista esprime temi dell’epoca in cui vive in un modo simile all’americano Pollock. Inoltre la collezionista aiutò a diffondere l’arte di esponenti dello Spazialismo, come Edmondo Bacci (Venezia, 1913 – 1978), che nel suo Avvenimento #247, un olio con sabbia su tela del 1956, rappresenta le origini della materia in regioni extraterrestri; forme colorate di blu, rosso e giallo scaturiscono da un’eruzione cosmica e si preparano a loro volta a generare vita. Forme colorate astratte sono protagoniste anche in Sopra il bianco, opera del 1960 dell’artista giapponese Kenzo Okada (Yokohama, 1902 – Tokyo, 1982), esponente dell’astrattismo lirico tipico del Giappone, dove a essere rappresentato è il cosiddetto paesaggio della mente.
Le altre categorie, se così si possono definire, per cui Peggy Guggenheim ebbe un certo interesse e desiderio di possedere nella sua collezione che si stava via via arricchendo sono l’arte britannica e l’arte optical e cinetica. Alla prima appartengono dipinti caratterizzati da uno sfondo monocromo sul quale sono rappresentate figure che divengono protagoniste: ne sono esempi lo Studio per scimpanzé di Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), dove appunto uno scimpanzé dai tratti deformati è ritratto quasi come in un’istantanea su uno sfondo rosso, e Forma organica di Graham Sutherland (Londra, 1903 – Mentone, 1980), dove su uno sfondo verde si staglia una forma che ricorda un altare. Similmente gli scultori britannici erano caratterizzati da una predilezione per la figura umana e animale e in molti casi da un abbandono del metodo tradizionale della fusione in bronzo per adottare la forgiatura e la saldatura. Tra questi artisti si ricordino Kenneth Armitage (Leeds, 1916 – Londra, 2002), Reg Butler (Buntingford 1913 – Berkhamsted, 1981), che furono ampiamente apprezzati alla Biennale di Venezia del 1952, e Henry Moore (Castleford, 1898 – Much Hadham, 1986). Di Armitage la particolare scultura Persone nel vento: un gruppo di figure in bronzo in forme astratte che con le braccia protese verso l’alto esprime un movimento ascensionale; dalle forme più stilizzate è invece Woman Walking di Reg Butler. Henry Moore rappresenta un gruppo di famiglia con forme maggiormente arrotondate e la materia appare più solida, mentre in Figura sdraiata, scultura in bronzo lucidato, le forme diventano più sinuose in un libero atto creativo.
Casi a sé costituiscono l’ingresso nella collezione Guggenheim de L’impero della luce di René Magritte (Lessines, 1898 – Bruxelles, 1967) eseguito tra il 1953 e il 1954: la tela raffigura una strada buia illuminata solo dalla debole luce di un lampione posto di fronte a una casa; in primo piano un alto albero copre in parte la casa e il cielo cosparso di nubi è azzurro e chiaro. In questo dipinto quindi convivono il giorno e la notte, una compresenza che provoca inquietudine, come è del resto tipico del Surrealismo al quale l’opera appartiene. Dell’Impero della luce esistono altri esemplari custoditi a New York e a Bruxelles.
Se Emilio Vedova esprimeva nei suoi dipinti le inquietudini della sua epoca, negli anni Cinquanta e Sessanta gli artisti del gruppo CoBrA, il cui nome derivava dalle iniziali delle città dei suoi fondatori, ovvero Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam, reagivano con uno stile istintivo e rivoluzionario alle tragedie della guerra. Uno stile che rimase tale anche dopo la fine dell’attività del gruppo, durata solo tre anni, dal 1948, come si nota ne Il coccodrillo piangente cerca di afferrare il sole dell’olandese Karel Appel (Amsterdam, 1921 – Zurigo, 2006), uno dei fondatori del gruppo CoBrA: il coccodrillo è dipinto con colori spessi applicati freneticamente ed è delimitato da linee nere; ciò che risalta è il forte contrasto di colore dato da toni molto decisi. Caratteristica fondamentale è la spontaneità nel modo di dipingere come quella dei bambini, senza alcuna attenzione per la prospettiva e la proporzione. Lo stesso colore spesso sulla tela e le linee nere dei contorni delle figure si ritrovano in Senza titolo del danese Asger Jorn (Vejrum, 1914 – Aarhus, 1973), altro fondatore del gruppo: qui le forme delle figure rappresentate sono difficilmente distinguibili nell’ambiente d’insieme, ma si nota sulla destra una figura umana in piedi sorridente e al centro un uccello; intorno vari volti si confondono nello sfondo. I colori divengono più tenui nell’artista rispetto ad Appel: azzurrino, giallo chiaro, verde, rosa si combinano tra loro in armonia.
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Jackson Pollock, Circoncisione (gennaio 1946; olio su tela, 142,3 x 168 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New
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Jackson Pollock, La donna luna (1942; olio su tela, 175,2 x 109,3 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New
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Jackson Pollock, Occhi nel caldo (1946; olio - e smalto? - su tela, 137,2 x 109,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New
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Arshile Gorky, Senza titolo (estate 1944; olio su tela, 167 x 178,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim)
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Emilio Vedova, Immagine del tempo (Sbarramento) (1951; tempera d’uovo su tela, 130,5 x 170,4 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim). © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
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Kenzo Okada, Sopra il bianco (1960; olio su tela, 127,3 x 96,7 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim)
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Francis Bacon, Studio per scimpanzé (marzo 1957; olio e pastello su tela, 152,4 x 117 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © The Estate of Francis Bacon. All rights reserved, by SIAE 2019
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René Magritte, L’impero della luce (L’Empire des lumières) (1953–54; olio su tela, 195,4 x 131,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © René Magritte, by SIAE 2019
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Pierre Alechinsky, Vestaglia (1972; acrilico su carta montata su tela, 99,5 x 153,5 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © Pierre Alechinsky, by SIAE 2019
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Asger Jorn, Senza titolo (1956–57; olio su tela, 141 x 110,1 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) © Donation Jorn, Silkeborg, by SIAE 2019
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Marina Apollonio, Rilievo n. 505 (1968 circa; alluminio e pittura fluorescente su Masonite, 49,9 x 49,8 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim)
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Perfettamente in linea con l’epoca contemporanea, Peggy cominciò a collezionare negli anni Sessanta opere di Op art, l’arte optical e cinetica. Geometrie nere e bianche illusorie e particolari effetti ottici dominano la scena artistica e della moda; riflessi e trasparenze contribuiscono ad alterare la percezione di forme e oggetti, grazie anche all’utilizzo di materiali inconsueti e tratti dal mondo industriale, come l’alluminio, la plastica e il vetro.
Sull’onda di questa moderna tendenza, Peggy si circondò di opere in plexiglas, alluminio, PVC, quali Struttura ottica dell’argentina Martha Boto (Buenos Aires, 1925 – Parigi, 2004), un gioco di figure geometriche, in questo caso cerchi, che sfruttando l’illusione del movimento e le superfici riflettenti si rende indefinito lo spazio; La gioia di Calvino del tedesco Heinz Mack (Lollar, 1931), fondatore nel 1957-58 del Gruppo Zero che si proponeva di azzerare le esperienze passate, allontanandosi dal quadro e dalla scultura tradizionale creando quadri oggetto e assemblaggi, inserendosi pienamente nelle ricerche cinetico-visuali tedesche. E ancora, JAK del franco-ungherse Victor Vasarely (Pécs, 1906 – Parigi, 1997), dove si esaltano le sue ricerche grafiche con forme geometriche, piccoli rombi, e l’effetto illusorio della luce al centro dell’opera. Tra gli esponenti italiani dell’arte cinetica che crearono interesse nella mecenate americana si possono menzionare Franco Costalonga (Venezia, 1933 –2019) e Marina Apollonio (Trieste, 1940): la particolare Sfera in plexiglas e metallo cromato del primo è una delle sue opere-scultura più intriganti e suggestive; l’artista ha declinato uno dei suoi soggetti prediletti in numerosissime varianti, trasparenti, riflettenti e colorate, giocando molto con la tridimensionalità. Marina Apollonio, invece, in Rilievo n.505, opera in alluminio e pittura fluorescente su masonite, si concentra su rilievi metallici a sequenze cromatiche alternate elementari, sfruttando materiali industriali.
Grazie a questa successione di opere che fanno parte della collezione Peggy Guggenheim, si comprende ulteriormente quanto la passione, la forte devozione nell’arte e il desiderio di dare un sano contributo agli esponenti soprattutto emergenti siano stati fattori determinanti per la continuazione e l’accrescimento di una raccolta che a New York era già significativa, ma che a Venezia ha raggiunto il suo apice.
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L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.