Gli splendori di Aquileia antica e paleocristiana tra la Basilica e i musei


Aquileia è una città dallo splendido passato, che vive nelle preziose testimonianze antiche e paleocristiane. In questo articolo, un breve viaggio tra i tesori di Aquileia.

La storia della città di Aquileia affonda le sue radici in un lontano passato, che ci riporta a 2200 anni fa: la sua fondazione risale all’epoca romana e fortunatamente ne sono rimaste tracce in numerosi resti archeologici rinvenuti nel suo territorio. Grazie all’archeologia, è infatti possibile ricostruire tanti aspetti delle città di un tempo: avere tra le mani e poter ammirare reperti antichi è quasi come avere una macchina del tempo che, dal presente, ci riporta all’epoca della fondazione o a epoche intermedie in cui sono avvenute trasformazioni e cambiamenti, oppure è possibile scoprire caratteristiche proprie di una cultura.

Dei resti di 2200 anni fa ne abbiamo testimonianza in oltre cento reperti, oggi custoditi al Kunsthistorisches Museum di Vienna, e ora riportati in mostra fino al 20 ottobre 2019 presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia: grazie alla Fondazione Aquileia è stata infatti organizzata la rassegna Magnifici Ritorni. Tesori aquileiesi dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tra i reperti più significativi da menzionare, in virtù del loro stato di conservazione e del loro pregio, ne spiccano diversi: si può partire con il rilievo votivo di Mitra, opera marmorea che raffigura il dio Mitra nell’atto di uccidere un toro, secondo quanto narra il mito che ha come protagonista la divinità solare di origine persiana: dall’uccisione del toro iniziava un nuovo ordine cosmico, per cui la scena simboleggiava morte e rinascita allo stesso tempo. Altra opera significativa è una Venere in marmo che rimanda alla Venere Marina ed è un’elaborazione ellenistica dell’Afrodite Cnidia di Prassitele, che per la prima volta raffigurava Venere completamente nuda. E ancora la Patera di Aquileia, piatto in argento su cui è raffigurata un’allegoria di fertilità, ovvero un personaggio centrale che compie un sacrificio nelle vesti di Trittolemo, eroe greco legato al mito di Demetra, rappresentata sulla destra seduta su un trono di spighe; nella parte inferiore si vede Gea semisdraiata accanto a un toro e nella parte superiore il busto di Zeus accompagnato dagli attributi tipici della divinità, lo scettro e il fulmine. Particolarmente dettagliata è infine la gemma vitrea di colore rosso scuro che raffigura con minuzia una gara di corse in un circo: tre quadrighe guidate da aurighi con fruste in alto e con i cavalli in corsa; presumibilmente l’ambientazione della scena è il Circo Massimo di Roma, da quanto si evince dagli elementi architettonici che s’intravedono sullo sfondo. Ma questi sono solo alcuni degli oggetti presenti in mostra; ve ne sono tanti altri di notevole pregio.

Rilievo votivo di Mitra . Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Rilievo votivo di Mitra. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia


Patera d'argento con allegoria della fertilità. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Patera d’argento con allegoria della fertilità. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia


Statua di divinità femminile. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Statua di divinità femminile. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia

I reperti di Aquileia, tuttavia, non ci parlano soltanto dell’epoca in cui furono prodotti, ma anche di quella in cui furono rinvenuti: con un salto nel tempo, si può tornare all’Ottocento, quando attraverso un’intensa attività di raccolta, di scavo e di ricerca, sono stati scoperti significativi reperti archeologici nel sottosuolo aquileiese, che hanno permesso di comprendere l’importanza che la città ebbe in epoca romana.

Con le scoperte di quell’epoca si familiarizza al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, riaperto lo scorso agosto dopo un accurato riallestimento durato due anni volto a esaltare e a rendere maggiormente fruibili i capolavori in esso custoditi: le sale del museo accompagnano il visitatore alla scoperta degli aspetti più pratici dell’antica città romana, metropoli dall’accentuato carattere cosmopolita, multireligioso e multilingue, data la sua notevole importanza come porto che serviva tutto il Mediterraneo. Manufatti di uso comune che provenivano dai più diversi paesi, statue che raffiguravano le più diverse divinità, e ancora ritratti, iscrizioni e stele funerarie raccontano nel museo la ricca attività produttiva e commerciale dell’antica Aquileia, nonché le abitudini della sua vita quotidiana: tutti reperti rinvenuti nel corso degli scavi compiuti sul territorio aquileiese. Il riallestimento ha interessato il piano terra e il primo piano della Villa Cassis Faraone, che dal 1882 ospita la collezione permanente, mentre un secondo piano accoglierà ambre, gemme e monete.

Tuttavia, i reperti di medie e piccole dimensioni, quali possono essere gli oggetti, i manufatti, gli utensili, non costituiscono gli unici rinvenimenti: è infatti possibile ridare nuova vita ad antichi edifici che, grazie ad accurati interventi, rendono ancora oggi visibili parti rilevanti di essi. È il caso del Museo Nazionale Paleocristiano di Aquileia, attualmente facente parte del Polo museale del Friuli Venezia Giulia. Nonostante il sito sia sede museale solo dal 1961, qui i confini tra museo e area archeologica sono molto labili, nel senso che i visitatori esplorano una sede museale che in realtà costituisce essa stessa un reperto archeologico: l’attuale complesso sorge infatti dove un tempo si erigeva una delle basiliche paleocristiane della città; l’edificio ha subito nel corso di quindici secoli numerose trasformazioni e quella che ora è visitabile ne è l’ultima. È stato un monastero benedettino dal IX secolo fino al 1782, quando un decreto aulico del Sacro Romano Impero, all’epoca dell’imperatore Giuseppe II, ne ha causato l’abolizione, e successivamente è passato di mano in mano di diversi nobili; in particolare il conte Antonio Cassis Faraone ha trasformato l’edificio nel luogo dei suoi soggiorni aquileiesi e nel sito di raccolta dei resti archeologici rinvenuti nei suoi possedimenti o ch’egli acquisiva mediante passaggi di proprietà. Il complesso è stato persino adibito nel corso delle varie trasformazioni a folador, ovvero ad ambiente per la vinificazione; nel 1961, a seguito di lavori di scavo per la realizzazione di una cantina, sono stati rinvenuti mosaici policromi che presentavano l’attacco a un’abside di forma pentagonale lungo il perimetro esterno e circolare all’interno: da quell’anno cominciava l’ultima modifica dell’edificio che lo avrebbe trasformato in sede museale.

Mantenendo la struttura caratteristica dei folador, il Museo Nazionale Paleocristiano è suddiviso in tre piani: al piano terra, che coincide con la basilica paleocristiana a forma rettangolare con un’unica navata e abside poligonale (risale alla fine del IV secolo), si nota un pavimento con mosaici a motivi geometrici e iscrizioni in latino e in greco. Queste ultime ci hanno addirittura tramandato il nome del donatore e si è notato, in particolare dalla compresenza di nomi latini e orientali, soprattutto siriaci, come la basilica sia stata adibita a una comunità varia, costituita per la maggior parte da commercianti o da persone legate al porto. Al primo piano sono visibili da una balconata le strutture e il pavimento della basilica interna al folador: un edificio a croce con aula divisa in tre navate. Sono esposti nel museo i mosaici della basilica del Fondo Tullio alla Beligna e alcune iscrizioni che decoravano il pavimento delle navate: i primi presentano tralci di vite che fuoriescono e s’intrecciano a cespi d’acanto; tra i grappoli sono raffigurati dodici agnelli e uccelli, tra cui uno splendido pavone, e al centro è posto un medaglione. Questi animali sono assurti a simboli religiosi: i dodici agnelli rappresenterebbero i dodici apostoli, mentre il pavone sarebbe simbolo di immortalità, poiché secondo antiche leggende era immune alla putrefazione. Il secondo e ultimo piano del museo mostra oltre 130 iscrizioni funerarie caratterizzate da immagini dei defunti, spesso accompagnati da piante e animali. In particolare i mosaici testimoniano i rapporti dell’antica Aquileia con il Mediterraneo, soprattutto con il Nord Africa e con l’Oriente.

Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia


Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia


Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia
Interno del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. Ph. Credit Alessandra Chemollo, archivio MAN Aquileia


Interno del Museo Paleocristiano di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Interno del Museo Paleocristiano di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli

Se si pensa ai mosaici, la nostra mente vola a Ravenna, ma forse è poco noto che la città di Aquileia possiede il mosaico più vasto del mondo occidentale cristiano, precisamente nella Basilica. Esteso per 750 metri quadrati, il mosaico pavimentale ricopre oggi l’area che anticamente corrispondeva all’aula meridionale dell’edificio, l’Aula Sud di Teodoro, uno dei tre ambienti della sede vescovile eretta all’epoca dell’imperatore Costantino, ed è dedicato per quasi un terzo alla storia di Giona. Quest’ultima è esplicitata nella grande scena di pesca, dove i pesci rappresentano le persone che ascoltano la Buona Novella, la barca rappresenta la Chiesa e la rete il Regno dei Cieli. Le tre scene di Giona, ovvero Giona ingoiato dal mostro, Giona rigettato dal mostro e Giona in riposo sotto la pianta di zucca, alludono alla morte, alla resurrezione e all’ascensione di Cristo.

Altre scene compaiono nel grande pavimento musivo, anch’esso del IV secolo: la lotta tra il gallo e la tartaruga che simboleggia la lotta tra il bene (il gallo, luce del nuovo giorno) e il male (la tartaruga, che nella traduzione greca significherebbe “abitatore delle tenebre”); il pastore con il gregge mistico, dove Cristo è raffigurato con la pecorella smarrita sulle spalle e in mano la syrinx dei pastori. Il dettagliato mosaico comprende anche i ritratti di benefattori, le immagini delle Stagioni e del Pesce (Ichtys in greco significa pesce, ma è anche l’acronimo di Iesús Christós Theoú Yiós Sotér, “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”). Presenti anche le immagini degli offerenti e della Vittoria Cristiana.

Corrisponde invece all’aula nord della Basilica la cripta degli scavi, dove sono ancora visibili alcuni mosaici intorno alle fondamenta del campanile. Si tratta di un’area archeologica sotterranea con resti di quattro epoche differenti. Anche qui non scarseggiano i mosaici con animali oppure oggetti con significati simbolici che alludono alla fede, alla vita eterna e alle virtù cristiane.

Altro ambiente sensazionale è la cripta degli affreschi, decorata con figure risalenti al XII secolo e che denotano un particolare rapporto tra arti cristiane d’Oriente e d’Occidente: sulla volta sono rappresentate diciannove scene con le Storie di Ermacora che narrano le origini del cristianesimo ad Aquileia, mentre nelle quattro lunette appaiono scene della Passione di Cristo e la Morte di Maria. Nei pennacchi si notano figure di santi e nella volta centrale la Madonna in trono col Bambino tra i simboli degli Evangelisti e Cristo in trono tra gli angeli.

La Basilica di Aquileia. Ph. Credit Fabrice Gallina
La Basilica di Aquileia. Ph. Credit Fabrice Gallina


Interno della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Interno della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Uno dei dodici agnelli del pavimento della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Uno dei dodici agnelli del pavimento della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Scena di pesca nel pavimento della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Scena di pesca nel pavimento della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Affreschi dell'abside della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Affreschi dell’abside della Basilica di Aquileia. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Cripta degli affreschi. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Cripta degli affreschi. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Cripta degli scavi. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Cripta degli scavi. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Il battistero cromaziano. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Il battistero cromaziano. Ph. Credit Gianluca Baronchelli


Il mosaico del pavone. Ph. Credit Gianluca Baronchelli
Il mosaico del pavone. Ph. Credit Gianluca Baronchelli

Con i suoi spettacolari ambienti, la Basilica dedicata alla Vergine e ai santi Ermacora e Fortunato è il monumento più grande e maggiormente visitato dell’antica Aquileia. Il suo aspetto odierno deriva da varie ricostruzioni e modifiche compiute nel corso dei secoli: dopo la distruzione della prima chiesa edificata negli anni immediatamente successivi al 313 d.C., gli abitanti la ricostruirono quattro volte, seguendo il principio secondo cui le nuove costruzioni venivano sovrapposte ai resti delle fasi precedenti. Tuttavia la Basilica si definirebbe oggi dalle forme romanico-gotiche e all’interno del suo complesso si considerano il battistero e la sua aula sud. Costruito probabilmente alla fine del IV o inizio del V secolo (ed è per questo detto “battistero cromaziano”, ovvero risalente all’epoca in cui vescovo di Aquileia era Cromazio, tra il 388 e il 407), il battistero ha subito vari rifacimenti durante i secoli; custodisce al suo interno un fonte battesimale atto ai battesimi per immersione, com’era abituale a quell’epoca. La sua aula sud, altrimenti denominata Südhalle (i primi archeologi che lavorarono ad Aquileia erano austriaci), conserva un mosaico pavimentale con figure geometriche, pecore o agnelli, ma soprattutto il mosaico del pavone, che originariamente decorava il passaggio che conduceva dal battistero alla basilica.

Ma le aree archeologiche di Aquileia non sono ancora concluse: l’ultima ad essere stata resa fruibile al pubblico è l’area Domus e Palazzo episcopale. Un quartiere dell’antica città romana di cui sono visibili livelli pavimentali di epoche differenti, le strutture della Domus del I secolo, l’aula absidata del IV secolo e i resti musivi e murari del Palazzo episcopale del V secolo.

La Basilica con le sue cripte degli affreschi e degli scavi, la Domus e il Palazzo episcopale sono anche visitabili nell’apposito percorso di visita guidataAquileia, l’antica metropoli dell’Impero Romano, mentre la visita guidataI tesori del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia conduce i visitatori alla scoperta del nuovo allestimento del Museo Archeologico Nazionale, dove, come detto precedentemente, è in corso la mostra Magnifici Ritorni. Tesori aquileiesi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Se invece si preferisce passeggiare in totale libertà, scoprendo con l’aiuto dell’audioguida il parco archeologico di Aquileia, la Basilica, il Museo Archeologico Nazionale e tutti gli altri luoghi monumentali della città, è possibile seguire Aquileia, i tesori di un’antica metropoli romana. Walking tour con audioguida, servizio disponibile tutto l’anno negli orari di apertura dell’Infopoint. Tutti i musei, le mostre e le visite guidate sono gratuiti per i possessori di FVGcard. Aquileia è dunque una città che merita di essere visitata e ammirata attentamente, poiché possiede uno straordinario repertorio di mosaici e di reperti archeologici che ne raccontano l’antica storia di principale centro per la diffusione del Cristianesimo nell’Europa del Nord e dell’Est e di importante porto collegato all’intero Mediterraneo.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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