Riceviamo e pubblichiamo la seguente recensione della mostra Caravaggio Napoli.
Titolo sintetico, mostra ricca. Caravaggio Napoli, a cura di Maria Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger, intende esplorare la pittura di Caravaggio e il suo seguito napoletano a partire dai “18 mesi” vissuti in città dall’artista, in due fasi. La prima, con inizio tra 23 settembre e 6 ottobre 1606 e termine immediatamente successivo al 24 giugno 1607 benché ignoto puntualmente (ma in catalogo si parla della giornata stessa del 24, o del 25); la seconda con inizio, ci viene narrato, precedente al 24 ottobre 1609 e conclusione nell’estate 1610 (certamente successiva all’11 maggio e precedente al 18 luglio). E qui però vi è un’altra svista: nessuno degli studiosi coinvolti deve aver assimilato appieno le novità della mostra del 2011 presso l’Archivio di Stato di Roma, in cui si chiariva come la data di ottobre si riferisca ad altro documento, mentre di sicuro c’è che Merisi era nuovamente nella capitale vicereale in data (comunque prossima) 7 novembre.
Al di là di tale premessa di inquadramento cronologico, che interesserà e su cui si appuntano più gli specialisti, sono sei i dipinti del maestro portati in Sala Causa (per un settimo, si veda più avanti). Forse per la prima volta in una grande retrospettiva, dopo quella del 2010 presso le Scuderie del Quirinale, tutti di indubbia autografia. Ed eccoli dunque: le due Flagellazioni di Napoli e Rouen, le due Salomè con la testa del Battista di Madrid e Londra, il San Giovanni Battista della Borghese, il Martirio di sant’Orsola. Molto si è scritto negli ultimi tempi sulla ’vera’ Maddalena in estasi, di cui le versioni più accreditate erano state portate a Parigi in una mostra, Caravage à Rome. Amis et ennemis, cui aveva preso parte la curatrice di Caravaggio Napoli. Ricordando che, in tale occasione, la stessa si era guardata dall’esprimersi in proposito (comunque una delle due versioni è stata attribuita dall’autorevole Mina Gregori), la diatriba viene ora messa a tacere portando a Capodimonte due copie dichiarate. A ogni modo si apprezza l’adozione della nuova cronologia del prototipo merisiano, 1610 anziché 1606 e dunque in un certo senso un’aggiunta al periodo napoletano, anche se su questo permane un certo disaccordo in catalogo, tra la curatela e l’autore di una scheda (come non dare ragione alla prima!).
Caravaggio, Flagellazione (1607; olio su tela, 266 x 213 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte). Foto di Luciano Roman |
Caravaggio, Flagellazione (1607; olio su tela, 134,5 x 175,5 cm; Rouen, Musée des Beaux-Arts) © C. Lancien, C. Loisel /Réunion des Musées Métropolitains Rouen Normandie |
Caravaggio, Salomè con la testa di Battista (1607 circa; olio su tela, 116 x 140 cm; Madrid, Palacio Real) |
Caravaggio, Salomè con la testa di Battista (1609; olio su tela, 91,5 x 106,7 cm; Londra, National Gallery) © Archivio Scala Group, Antella / © 2019. Copyright The National Gallery, London / Scala, Firenze |
Caravaggio, San Giovanni Battista (1610; olio su tela, 159 x 124 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto © Bridgeman Images |
Caravaggio, Martirio di sant’Orsola (1610; olio su tela, 143 x 180 cm; Napoli, Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos Stigliano, Intesa Sanpaolo, Archivio Patrimonio Artistico). Foto Luciano Pedicini |
Se evidentemente la Galleria Borghese non ha potuto prestare un secondo dipinto, il David con la testa di Golia che significativo sarebbe stato per il percorso espositivo, difficile è restare insensibili all’assenza di due capolavori, che avrebbero reso pressoché esaustiva l’illustrazione del percorso napoletano ed eccezionale la portata dell’evento. Parliamo della Negazione di Pietro e della Crocifissione di sant’Andrea, almeno quest’ultima grande assente giustificato: essa deve essere considerata inamovibile dal museo di Cleveland, per la sua fragilità e tenendo conto che è reduce da un lungo e delicato intervento di restauro (documentato dal video proiettato in una saletta). Attorno alla sua presenza ideale è comunque incentrata una specifica sezione, con dipinti in qualche modo a essa ispirati (ma non sembra essere il caso del Martirio di san Sebastiano di Hendrick van Somer). Nella stessa sala, peraltro, l’analogo soggetto di Louis Finson da Rougiers, esposto per la prima volta dopo un restauro. Sulla base dell’iscrizione in un cartiglio dipinto, di difficoltosa lettura nell’ultima cifra, è datato 1610; o alternativamente 1615, il che a ben vedere è improbabile (semmai l’ultimo carattere poteva sembrare un 6: comunque un segno circolare appare evidente). Tornando sulla Negazione di Pietro, si registra ora un’audace ipotesi che la vorrebbe presente nell’ultimo viaggio di Caravaggio da Napoli a Porto Ercole. L’idea non è supportata da fonte alcuna e anzi le evidenze documentarie vanno in direzione opposta, però tanto basta per aver creato un precedente di cui non si sentiva bisogno, nella narrazione della biografia caravaggesca; che, specie a livello di divulgazione, non attende altro che alimentarsi di nuove ipotesi, anche le più inverosimili, purché affascinanti e appunto ’originali’. È trascurata inoltre l’ipotesi di Maurizio Marini, pubblicata postuma nella monografia dell’altrettanto compianto e massimo studioso del Caravaggio napoletano Vincenzo Pacelli, secondo cui si può dubitare sulla presenza nel viaggio di ritorno a Roma di almeno uno tra i tre dipinti che vi erano secondo la tradizione (due San Giovanni e una Maddalena).
Abbiamo parlato dei dipinti autografi assenti. Un discorso a parte meritano le Sette opere di misericordia, che non si è potuta spostare dal Pio Monte della Misericordia, con strascico di polemiche non ancora sopite. Sebbene ufficialmente (vedi anche colophon) la rassegna figuri svolgersi presso il solo Museo e Real Bosco di Capodimonte, la grande pala d’altare è comunque schedata e si è inteso considerare il Pio Monte come una seconda sede dell’esposizione (tuttavia con tariffazioni separate, benché ridotta per chi visiti una delle due sedi dopo essere stato nell’altra). Un’interessante novità, peraltro, è costituita dalla maggiore comprensione che oggi possiamo avere sulla configurazione della prima cappella di via dei Tribunali (l’attuale edificio, è successivo al 1658), oltre alla verificata presenza, tra i finanziatori della nascente istituzione filantropica lì stabilitasi, del mercante Niccolò Radulovich (poi committente di Caravaggio). Per l’occasione nella chiesa, ospitante in una concomitanza non prevista un’opera di Jan Fabre, sono state oscurate tutte le finestre come per riportare l’illuminazione a quel che poteva essere in antico. Più una suggestione naturalmente, considerando che non si arriva a rimpiazzare la luce dei moderni faretti con quella delle candele, ma di necessità si fa virtù e certo vale la pena sperimentare la nuova, temporanea soluzione. Inoltre, l’ingresso è stato riportato al portone principale, di fronte all’altare maggiore.
Hendrik de Somer, Martirio di san Sebastiano (1630 circa; olio su tela, 205 x 154 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte). Foto di Fabio Speranza |
Louis Finson, Martirio di san Sebastiano (1610 o 1616?; olio su tela, 220 x 162 cm; Rougiers, chiesa parrocchiale) |
Per concludere sulle Sette opere, la nuova immagine ad altissima definizione scattata da Google Arts pochi giorni prima dell’apertura della mostra, esplorabile in maniera interattiva nelle ultime sale, nel restituirci tutta la bellezza del dipinto e i numerosi particolari della complessa composizione, mette una pietra tombale (se già non fosse bastato l’esame autoptico) su recenti ipotesi sensazionalistiche, che avrebbero voluto vedere, peraltro, nel polpaccio di un angelo, un “globo di luce” e, stretto assieme alla mascella del cosiddetto Sansone, un “grappolo d’uva” (sic). Google Arts & Culture, uno dei partner tecnici di Caravaggio Napoli, ha più in generale reso ora accessibili sul web le immagini di diversi quadri in mostra, anche attraverso una specifica “storia” (percorso guidato virtuale).
Tra gli altri autori presenti a Capodimonte, oltre a quelli già citati, vi sono Giovanni Baglione (unico romano), e, tra i più rappresentati e rappresentativi, Giovanni Battista Caracciolo, Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera. A testimoniare come a Napoli, a differenza dell’Urbe dove forte fu l’influsso della corrente classicista, la pittura fu estremamente ricettiva nei confronti della ’lezione’ di Caravaggio. Accanto a questi ricordiamo Carlo Sellitto, di cui si espone un San Francesco che riceve le stimmate, immaginandolo un’eco se non addirittura una ripresa ravvicinata dell’identico soggetto che Merisi avrebbe dipinto per una chiesa poi distrutta da un terremoto. Il condizionale è d’obbligo se, accanto a rare voci biografiche che ricordano due altri dipinti caravaggeschi a ornare la stessa cappella, la maggior parte delle fonti ne cita e indugia su uno soltanto (una Resurrezione) ignorando gli altri, per cui sembra molto più probabile che questi ultimi due fossero stati al più dipinti da seguaci del lombardo, o in ogni caso siano stati associati impropriamente alla sua produzione. Infine, anzi proprio in apertura del percorso di visita, si ha l’opportunità di ammirare un disegno della Vocazione di san Matteo di san Luigi dei Francesi eseguito da Belisario Corenzio, come convincentemente argomentato nella relativa scheda (ultimamente vi era stato l’isolato tentativo di farlo passare come una prova grafica dello stesso Merisi).
Caravaggio, Le Sette opere di misericordia (1606-1607; olio su tela, 390 x 260 cm; Napoli, Pio Monte della Misericordia) |
Caravaggio, Le Sette opere di misericordia, dettaglio |
Caravaggio, Le Sette opere di misericordia, dettaglio |
Molto abbiamo parlato sin qui dei contenuti del catalogo. Si apprezzano a tal proposito l’intelligenza e la sensibilità di Maria Cristina Terzaghi, che ha chiamato a lavorarvi studiosi, giovani in particolare, che non ricoprono ruoli istituzionali. Del resto, talune recenti acquisizioni nel campo degli studi caravaggeschi le dobbiamo anche a figure che nemmeno hanno una formazione propriamente storico-artistica (caso emblematico, il rinvenimento dell’atto di battesimo del pittore da parte di un ex dirigente in pensione di una nota catena di supermercati). Nel volume la sezione dei saggi, che si apre con quello (singolarmente senza apparato di note) su cultura e filosofia nella Napoli di Caravaggio, trova la penna più brillante nello scritto di chiusura a firma di Stefano Causa. Esso ripercorre le rassegne partenopee che, a partire dal 1938, hanno visto protagonista Caravaggio; e nel farlo indugia più su quelle novecentesche, prendendo in qualche modo le distanze dalla mostra del 2004 (immediatamente precedente a quella odierna), che tuttavia consegnò agli studi un testo imprescindibile sul Caravaggio meridionale (e ai visitatori una formidabile esperienza).
Tornando e chiudendo sull’esposizione, se ne apprezza il percorso di visita, peraltro caratterizzato (piaccia o meno) da luci molto basse, ben studiato e calibrato; con efficaci accostamenti, fra maestro e seguaci, basati sul soggetto prescelto e su confronti iconografici. Per un sintetico giudizio complessivo, mostra da non perdere assolutamente. E da ritornarci anche.