“Oggi ho lavorato ancora di più: cinque tele, e domani conto di iniziarne una sesta; andiamo abbastanza bene, dunque, sebbene tutto mi sia assai difficile da fare. Queste palme mi fanno dannare, e poi i motivi sono estremamente difficili da riprodurre, da trasferire sulla tela; è tanto folto dappertutto; è delizioso da vedere; si può passeggiare indefinitamente sotto le palme, gli aranci, i limoni e anche sotto gli splendidi ulivi, ma quando si cercano soggetti è molto difficile. Vorrei fare certi aranci e limoni che si stagliano contro il mare azzurro, non riesco a trovarli come voglio. Quanto all’azzurro del mare e del cielo, è impossibile. Comunque, ogni giorno aggiungo e scopro qualcosa che prima non avevo saputo vedere. Questi luoghi sembrano fatti apposta per la pittura en plein air. Mi sento particolarmente eccitato da quest’esperienza e, dunque, penso di tornare a Giverny più tardi del previsto, anche se la vostra assenza disturba la mia serenità” (Bordighera, 26 gennaio 1884).
“Lavoro come un forsennato su sei tele al giorno. Faccio molta fatica, poiché non riesco ancora a cogliere il tono di questo paese; a volte sono spaventato dai colori che devo adoperare, ho paura di essere terribile, eppure sono ancora ben al disotto; è atroce la luce” (Bordighera, 29 gennaio 1884).
Così scriveva Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) ad Alice Hoschedé, sua seconda moglie dopo la prematura scomparsa di Camille, avvenuta a soli trentatré anni nel 1879. Anche Claude per Alice era il suo secondo marito, poiché primo era Ernest Hoschedé, collezionista e amico di Monet.
Chiudendo la parentesi sui passati legami sentimentali di entrambi, da queste lettere si evince, oltre al grande amore e alla forte stima che Claude nutriva per Alice, un sorta di ansia per la difficoltà dell’artista di rendere sulla tela quegli straordinarî colori che vedeva nella realtà sulla riviera ligure. Era affascinato, quasi ipnotizzato da questi paesaggi, dalla ricca varietà di verdi della rigogliosa vegetazione, dai colori accesi degli agrumi, dalle tonalità di azzurro che il mare e il cielo offrivano alla vista e che molto spesso mutavano di giorno in giorno, e soprattutto dalla luce che rischiarava e si rifletteva su ogni elemento della natura. Il suo “spavento” determinato dai colori si affievoliva un poco alla volta e il 3 febbraio 1884 Claude scriveva alla sua Alice: “Adesso sento bene il paese, oso mettere i toni terra e rosa e blu; è magia, è delizioso, e spero che vi piacerà”, e un mese dopo, il 5 marzo 1884, le raccontava: “Ora dipingo con colori italiani che ho dovuto far venire da Torino”.
Ma la sua consapevolezza di essere “molto al di sotto del tono” non l’aveva abbandonato: solo alcuni giorni dopo l’ultima lettera citata, Monet dichiarava al mercante d’arte e amico Paul Durand-Ruel (Parigi, 1831 – 1922): “Farò forse gridare un po’ i nemici del blu e del rosa, per via di questo splendore, questa luce fantastica che mi applico a rendere; e quelli che non hanno mai visto questo paese o che l’hanno visto male grideranno, ne sono sicuro, all’inverosimiglianza, sebbene io sia molto al di sotto del tono: tutto è colore cangiante e fiammeggiante, è ammirevole; e ogni giorno la campagna è più bella, e io sono incantato dal paese” (Bordighera, 11 marzo 1884).
Claude Monet, Autoritratto (1886; olio su tela, 55 x 46 cm; Collezione privata) |
Queste lettere sono testimonianza del soggiorno che Claude Monet aveva compiuto in totale solitudine in Italia, stabilendosi a Bordighera, piccolo borgo tra Sanremo e Ventimiglia, sulla riviera del ponente ligure; da qui aveva avuto la possibilità di visitare i villaggi vicini, tra cui Dolceacqua, e la Val Nervia. Era per lui un paesaggio straordinario, ma doveva prendere confidenza con l’intensità dei colori mediterranei. Fino a quel momento, infatti, non aveva mai utilizzato sulla sua tavolozza il blu tendente al viola per il cielo e l’atmosfera, il rosa o l’albicocca per i fiori, il verdesmeraldo per l’acqua del mare: nuovi colori e atmosfere che lo meravigliavano, ma che lo facevano disperare per il timore di non riuscire a rappresentare sulla tela tutto questo.
In realtà, i panorami liguri, in particolar modo quelli genovesi, erano già stati scoperti dal pittorefrancese qualche mese prima, quando insieme a Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 – Cagnes-sur-Mer, 1919) aveva deciso di esplorare il Sud alla ricerca di una nuova ispirazione. Alla fine del 1883, quindi, i due artisti erano giunti a Genova passando da Marsiglia, ma in conseguenza del fatto che entrambi si erano resi conto che il loro stile e i soggetti che intendevano raffigurare erano divenuti differenti, avevano abbandonato l’idea di soggiornare insieme negli stessi luoghi, perciò erano tornati in terra francese, non prima di aver fatto una sosta a L’Estaque, villaggio della Francia meridionale, per far visita all’amico Paul Cézanne (Aix-en-Provence, 1839 – 1906). Il viaggio verso Sud era stato dettato inoltre da necessità di mercato, poiché dal 1882, ovvero a conclusione della settima mostra degli impressionisti, Monet aveva deciso di non partecipare più ad alcuna mostra impressionista né ad alcun Salon, perciò la diffusione delle sue opere era totalmente legata al mondo della critica e del collezionismo; tuttavia, nello stesso anno del viaggio con Renoir, a marzo si era tenuta la sua personale alla Durand-Ruel Gallery, presso Boulevard de la Madeleine, 9.
Nonostante l’instancabile lavoro, arrivando a eseguire contemporaneamente fino a sei tele, Monet aveva compiuto a Bordighera e dintorni circa una cinquantina di quadri. Nel borgo ligure aveva avuto la possibilità di ammirare e di visitare il giardino Moreno, voluto nel 1830 circa da Vincenzo Moreno, ricco commerciante di olio di Bordighera, che aveva cominciato a piantare i semi di molte specie esotiche; negli anni Ottanta dell’Ottocento il giardino era divenuto famoso a livello internazionale per la grande varietà di vegetazione che custodiva ed era quindi meta di visita di letterati, artisti e viaggiatori. Ispirato dalla meraviglia di questo luogo, oggi facente parte dei Grandi Giardini Italiani e selezionato come uno dei giardini più belli in Liguria, l’artista aveva rappresentato sulla tela tre punti del parco, ancora adesso riconoscibili se vi addentraste al suo interno: i dipinti realizzati nel 1884 qui ambientati sono Vedute di Ventimiglia, Studio di piante di ulivo e Giardino a Bordighera. Impressioni del mattino. Il primo è conservato presso il Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow e raffigura proprio un punto panoramico sulla cittadina di Ventimiglia, bagnata dal mare e illuminata dal sole; in primo piano si nota la rigogliosa vegetazione creata utilizzando toni di verde con tocchi di viola. Studio di piante di ulivo fa parte di una collezione privata ed è dedicato alle grandi e secolari piante di ulivo dai tronchi che sembrano fare un inchino. L’ultimo dipinto del terzetto, oggi conservato all’Hermitage di San Pietroburgo, è anche il più luminoso e ricco di sfumature: palme illuminate dalla luce del sole mattutino fanno da sipario al campanile di una chiesa che si scorge al centro della tela; sullo sfondo si intravede il mare. Osservando quest’opera pare di trovarsi proprio immersi tra la folta e ricca vegetazione del giardino.
Claude Monet, Veduta di Ventimiglia (1884; olio su tela, 65,1 x 91,7 cm; Glasgow, Kelvingrove Art Gallery and Museum) |
Claude Monet, Studio di piante di olivo (1884; olio su tela, 73 x 60 cm; Collezione privata) |
Claude Monet, Giardino a Bordighera (1884; olio su tela, 65,5 x 81,5 cm; San Pietroburgo, Hermitage) |
Ancora ambientata nel giardino Moreno è l’opera Le Ville a Bordighera, realizzata nello stesso anno e conservata al Musée d’Orsay di Parigi. Sulla destra del dipinto è la componente architettonica, mentre in primo piano tornano piante e palme. Sullo sfondo, in lontananza, si intravedono sagome di montagne. In realtà questo dipinto non venne realizzato a Bordighera, ma nella bottega di Giverny, rifacendosi a una tela di dimensioni più ridotte eseguita in loco: quest’ultima porta lo stesso titolo, ma è conservata al Santa Barbara Museum of Art. Anche in tal caso, Monet intende sottolineare la grande importanza dei colori e della luce di questi luoghi e spesso si avvale dell’usodello scorcio per enfatizzare l’aspetto totalizzante della composizione. Il quadro del Musée d’Orsay era stato realizzato come pannello decorativo per il salotto della pittrice Berthe Morisot (Bourges, 1841 – Parigi, 1895), che si era definita entusiasta per aver cominciato a entrare in intimità con i suoi colleghi impressionisti.
Un ulteriore scorcio panoramico è presentato in Bordighera, un olio su tela custodito all’ArtInstitute of Chicago. La predominanza della natura e della vegetazione è ancora qui evidenziata, ponendo in primo piano alberi che con le loro fronde occupano quasi l’intero dipinto e i cui tronchi si contorcono per incontrarsi nella parte superiore. Il paesino è posto in lontananza, in scorcio, tra il verde delle piante e l’azzurro molto intenso del mare. I colori fondamentali per queste composizioni continuano ad essere pertanto il blu, il verde declinato in toni e sottotoni e sfumature tra il giallo e il bianco per ottenere quella luminosità tanto paventata dall’artista.
Claude Monet, Ville a Bordighera (1884; olio su tela, 115 x 130 cm; Parigi, Musée d’Orsay) |
Claude Monet, Ville a Bordighera (1884; olio su tela, 73 x 91 cm; Santa Barbara, Santa Barbara Museum of Art Museum) |
Claude Monet, Bordighera (1884; olio su tela, 65 x 80,8 cm; Chicago, The Art Institute of Chicago) |
Claude Monet, La Valle di Sasso. Effetto di sole (1884; olio su tela, 65 x 81 cm; Parigi, Musée Marmottan Monet) |
Claude Monet, Il Castello di Dolceacqua (1884; olio su tela, 92 x 73 cm; Parigi, Musée Marmottan Monet) |
Claude Monet, L’Antico ponte sul Nervia a Dolceacqua (1884; olio su tela, 65 x 81 cm; Williamstwon, Sterling & Francine Clark Art Institute) |
Durante il suo soggiorno sulla riviera ligure, l’artista aveva avuto modo di esplorare anche i dintorni di Bordighera, come Sasso, alla cui valle Monet dedicò un dipinto, oggi custodito al MuséeMarmottan di Parigi: si tratta de La Vallée de Sasso, effet de soleil (“La Valle di Sasso, effetto di sole”). Centrale in questo dipinto è ancora la ricca presenza di palme e piante, tra le quali si nota un edificio dalle forme squadrate. L’intera composizione è poi pienamente illuminata dai raggi del sole, che rendono maggiormente brillanti i colori impressi sulla tela. Nel 2017 era stata avanzata la proposta da parte dei due sindaci di Bordighera e di Dolceacqua di riportare in esposizione nell’estate del 2019 due delle tele che Monet aveva eseguito in questi luoghi: uno era proprio La Valle di Sasso, mentre l’altra opera in questione era Le Château de Dolceacqua (“Il Castello di Dolceacqua”). Il Castello di Dolceacqua, conosciuto anche come Castello dei Doria, sovrasta la parte più antica del borgo ligure e, insieme al sottostante PonteVecchio, crea un paesaggio da cartolina, che continua ad affascinare molti turisti in esplorazione nella Val Nervia come negli anni Ottanta dell’Ottocento aveva fatto incantare il grande artista impressionista, tanto da ritrarlo nei suoi dipinti. Capolavori in cui Monet si era concentrato su questo luogo fiabesco e incantato: al centro si trovava sempre il ponte dalla caratteristica forma arcuata molto accentuata che divide il borgo in due parti a causa del passaggio del torrente Nervia. Sono ben riconoscibili i punti di vista da cui Monet aveva dipinto le sue opere: il Castello diDolceacqua, custodito al Musée Marmottan, mostra una prospettiva più ampia e più centrata e toni più scuri; L’Antico ponte sul Nervia a Dolceacqua, visibile presso lo Sterling and Francine ClarkInstitute nel Massachusetts, presenta in primo piano, dal basso verso l’alto, il Ponte Vecchio con la sua gradinata laterale e tutt’intorno confuse macchie di colore verde, più chiaro rispetto al precedente. Ciò che l’aveva meravigliato era questo “ponte che è un gioiello di leggerezza”, come l’aveva definito nei suoi scritti di quegli anni.
Sulla riviera ligure Monet ha trovato paesaggi sensazionali e ha donato alla storia dell’arte i suoi dipinti più vivaci e intensi, riuscendo a catturare, anche se a suo dire “molto al di sotto del tono”, il forte cromatismo tipico di quei luoghi.
Bibliografia di riferimento
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.