Una tra le conquiste più recenti della Bologna dell’arte sta nell’aver riportato un capolavoro di Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1450 circa - 1496), il Ritratto di Giovanni II Bentivoglio, al Museo di Palazzo Poggi, l’antica residenza nobiliare eretta verso la metà del Cinquecento, quindi nel 1711 acquistata dal Senato bolognese per installarvi l’Istituto delle Scienze e delle Arti, poi ancora dal 1803 sede dell’Università di Bologna: oggi, ancora sede universitaria, l’edificio ospita il museo che accoglie le collezioni storiche di anatomia, ostetricia, fisica, chimica, storia naturale, architettura militare, geografia e nautica dell’ateneo (il Museo di Palazzo Poggi, appunto), il Museo Europeo degli Studenti, e il Museo della Specola. Qui, a Palazzo Poggi, nascosto in una soffitta, fu ritrovato il ritratto, per merito dello storico dell’arte Igino Benvenuto Supino (Pisa, 1858 - Bologna, 1940), che lo rinvenne in uno stato di conservazione disastroso, dimenticato da tutti. Niente si sa della storia precedente del dipinto, né come abbia fatto ad arrivare qui, ma del perché del suo stato e del perché fosse nascosto si può forse avere qualche idea, di cui si dirà meglio tra poco.
Come detto, si deve a Supino il merito d’aver riscoperto questo grande capolavoro, una delle massime espressioni della ritrattistica prodotta nell’ambito della scuola ferrarese del Quattrocento. Fu però un altro grande studioso, Roberto Longhi, a pubblicarlo e a fornire per primo un inquadramento critico del dipinto. Longhi, prima di tutti gli altri, parlò di quest’opera, dedicandole un ampio brano nei suoi Ampliamenti all’Officina Ferrarese del 1940, che varrà la pena riportare anche per la breve quanto immaginifica descrizione che ne diede: “ma c’è altro da aggiungere al periodo bolognese di Ercole: ed è il ritratto di Giovanni II Bentivoglio, che appartiene all’Università di Bologna e si vede esposto nell’Istituto di Storia dell’Arte. Cavato molti anni fa, ad opera del Supino, dalle soffitte dello Studio bolognese, lo trovai nel 1934 orrendamente imbrattato e bruciacchiato al punto da far credere che sia stato tratto a stento dal «guasto» dei Bentivoglio nel 1507. Provvidi devotamente a far rimuovere, «meis impensis» e sotto i miei occhi, gl’imbratti; a ridare al dipinto il formato originale ch’era stato ridotto da una cornice mal soprammessa; a far campire a semplici toppe di punteggiato le lacune più gravi ed oggi posso ripresentarlo più schietto, nel suo stato di rudere, ma di che prestigio, ancora! A mezza figura un po’ men grande del vero, ma torreggiante per l’enorme colmata del torso sotto la zimarra verde-smeraldo a rovesci e soppanni bruni e oro; e così sollevata ancora e arretrata la testa a guardarci invincibilmente dall’alto, con tremendo supercilio, roteando la pupilla nell’angolo dell’orbita; ecco il tipo più eccelso dello «high-brow» italiano del Quattrocento. Un simile risultato può richiamarsi soltanto a paragone del Condottiero del Louvre o al ritratto Trivulzio di Antonello; anche perché, similmente, la fermezza interiore non chiede alla materia che l’incarna di irrigidirsi e di simulare incorruttibilità, anzi si avvantaggia di certe sfinature di modellato; di delicatezze, persino, nella zazzera chiarissima che s’apre sui lati del viso a guisa di cortina lieve, su cui un dito, provandosi, scivolerebbe come sui crini teneri e fusi dell’archetto di un violino”.
Ercole de’ Roberti, Ritratto di Giovanni II Bentivoglio (1485 circa; tavola, 64 x 49,5 cm; Bologna, Museo di Palazzo Poggi). Ph. Antonio Cesari © Università di Bologna |
Il ritratto di Giovanni II Bentivoglio nel suo nuovo allestimento al Museo di Palazzo Poggi. Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Per conoscere le vicende alla base del “guasto” dei Bentivoglio del 1507 vale la pena riassumere la storia del personaggio raffigurato da Ercole de’ Roberti, Giovanni II Bentivoglio (Bologna, 1443 - Milano, 1508), che ereditò la signoria di Bologna a soli due anni, dopo l’assassinio del padre Annibale nell’ambito d’una congiura, poi fallita, per rovesciare il dominio bentivolesco, ordito dalle famiglie rivali. Salito al potere a vent’anni a seguito della scomparsa del suo tutore (nonché reggente della signoria), Sante Bentivoglio, Giovanni II stabilì un’intelligente politica che, sul piano estero, era volta a rinsaldare le relazioni con gli alleati di Bologna (gli Sforza, i Medici, la Repubblica di Venezia), mentre in politica interna il giovane signore intraprese azioni volte a rafforzare il suo potere personale: per esempio, misure per limitare il potere del legato pontificio (Bologna, infatti, dipendeva formalmente dallo Stato Pontificio), riforme delle istituzioni cittadine per garantirsene il controllo, nomine di persone a lui vicine nei ruoli più importanti nell’amministrazione della città. La signoria di Giovanni II assunse ben presto i connotati d’una tirannia che non ammetteva interferenze, ma occorre anche sottolineare come il Bentivoglio, per molti anni, godesse dell’appoggio del popolo, che si procurò con una vasta opera di mecenatismo (il Rinascimento si diffuse a Bologna grazie all’azione di Giovanni II) e soprattutto con politiche favorevoli alle classi più svantaggiate (per esempio con provvedimenti tesi a scongiurare il rischio dell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità in occasione di carestie).
Il potere di Giovanni II cominciò a indebolirsi a partire dal 1488, anno in cui due episodî segnarono in maniera negativa la sua signoria. Il primo fu quello della sua prigionia di alcuni giorni a Faenza: nel 1488 sua figlia Francesca, sposata con Galeotto Manfredi, signore della città romagnola, fece uccidere quest’ultimo da due sicarî (si trattò infatti d’un matrimonio fallimentare, dal momento che Manfredi non volle separarsi dalla sua amante, e con la moglie non ebbe mai un buon rapporto), costrigendo Giovanni II a intervenire dal momento che Faenza si trovava priva del suo governante. Giovanni II nominò signore di Faenza il figlio di Galeotto e Francesca, Astorre Manfredi, un bambino di tre anni: tuttavia i faentini ritennero l’episodio una pesante ingerenza, insorsero contro il Bentivoglio e lo imprigionarono. L’accaduto assunse i contorni dello scandalo internazionale, e solo l’intervento di Lorenzo il Magnifico, alleato di Giovanni II, dopo alcune trattative coi faentini, scongiurò il rischio di una risposta militare da parte dei bolognesi. Il secondo fu la congiura dei Malvezzi, famiglia rivale dei Bentivoglio, che mal aveva sopportato la trasformazione di Bologna nel dominio personale di Giovanni II, oltre all’inesorabile perdita di prestigio che l’accentramento del potere nelle mani del signore aveva comportato a loro danno: scoperte le trame dei Malvezzi, i Bentivoglio e i loro partigiani diedero luogo a una feroce repressione fatta di numerose esecuzioni precedute da processi sommarî e di spietate uccisioni di persone sulle quali pendevano anche solamente semplici sospetti.
Da questo momento in avanti, la politica tirannica del signore si fece sempre più scoperta (ad esempio, con l’assegnazione della carica di gonfaloniere a vita al figlio ventitreenne Annibale II: una mossa attraverso cui Giovanni II garantiva l’ufficialità alla trasmissione ereditaria della signoria, dal momento che fino ad allora i Bentivoglio erano stati signori di Bologna soltanto de facto), e i malumori continuarono a crescere col cambio d’atteggiamento in politica estera dopo la discesa di Carlo VIII, re di Francia, in Italia. Giovanni II era ben consapevole d’avere numerosi avversarî in città, e soprattutto del fatto che il suo potere si fondava sulla benevolenza da parte del popolo: di conseguenza, onde evitare di portare la guerra in territorio bolognese (che gli avrebbe alienato il favore della popolazione, causando il crollo della signoria), mantenne un comportamento ambiguo nei confronti delle potenze straniere, che ebbe sì l’effetto di salvare Bologna dalla guerra e di mantener saldo il potere tra le sue mani, ma rappresentò il primo capitolo di una serie di azioni ambivalenti che presto lo condussero alla rovina. Quando, poco tempo dopo, Luigi XII di Francia cominciò la conquista del ducato di Milano, Giovanni II dapprima aiutò l’alleato sforzesco, e poi, visto che la guerra volgeva a favore dei francesi, Bentivoglio abbandonò gli Sforza per ottenere la protezione di Luigi XII, concessa tuttavia in cambio di un gravoso tributo economico, il cui pagamento fu giudicato internamente come segno di debolezza. Non solo: nel 1501, Bologna era infatti minacciata dal bellicoso Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI e violento braccio armato dell’aggressiva politica di espansione territoriale dello Stato Pontificio che puntava dritta sulla città felsinea. Giovanni II ospitò a Bologna i signori di alcune città conquistate da Borgia, e quest’ultimo, in ritorsione, attaccò e conquistò Faenza (il giovanissimo Astorre Manfredi, allora diciassettenne, fu condotto prigioniero a Roma e assassinato poco dopo): il signore bolognese risolse la situazione nuovamente con la diplomazia, raggiungendo la pace con la minaccia di una rivolta armata della città contro l’esercito pontificio e con il pagamento di un ulteriore tributo economico. Le mire pontificie furono però sopite solo per qualche anno.
Colpito da ulteriori crisi interne (a partire dalla congiura dei Marescotti, altra famiglia rivale, soffocata con una repressione che fu ancora più violenta di quella abbattutasi sui Malvezzi: le stragi indiscriminate che si verificarono alienarono a Giovanni II buona parte del favore dei cittadini) e da una pesantissima congiuntura economica che indebolì finanziariamente Bologna, cresciuta l’opposizione dei sopravvissuti dei Malvezzi e dei Marescotti che, a Roma, facevano pressioni sul papa Giulio II per un nuovo intervento militare contro Bologna, e perse alcune alleanze internazionali strategiche (i francesi si erano infatti pericolosamente avvicinati allo Stato Pontificio, a tutto danno della signoria bolognese), Giovanni II vide il proprio potere inevitabilmente compromesso. Nel 1506 Giulio II, compreso che Bologna era fondamentale per l’espansione territoriale della Santa Sede e valutata come non più forte la posizione del suo signore, attaccò la città, e questa volta a nulla valse l’abilità diplomatica di Giovanni II, dal momento che Francia e Venezia non avevano interesse a schierarsi contro il pontefice. L’azione del papa fu violenta: pose una taglia sul capo di Giovanni II, considerato ribelle, e minacciò di scomunica chiunque in città l’avesse aiutato. Il signore, perso anche l’appoggio del popolo (che non si mosse contro i Bentivoglio, ma neppure li aiutò di fronte alla minaccia pontificia), e compresa la prossima fine del proprio dominio, si adoperò per un accordo col papa che prevedeva la rinuncia a Bologna e il trasferimento fuori dai territorî dello Stato Pontificio: in cambio, Giovanni II avrebbe ottenuto la sopravvivenza della sua famiglia e la salvezza dei suoi beni. L’ormai ex signore di Bologna si accordò con l’antico alleato, Luigi XII, per recarsi in esilio a Milano. L’anno successivo, il 1507, con i Bentivoglio ormai fuori dalla città, i loro rivali, con in testa i Marescotti, sobillarono la folla in un tentativo di damnatio memoriae: la più importante testimonianza bentivolesca rimasta in città era il loro sontuoso palazzo, che fu attaccato dal popolo e abbattuto. Dell’edificio, che sorgeva nel sito dove oggi si trova il Teatro Comunale di piazza Verdi, non rimasero che macerie, e l’accadimento passò alle cronache storiche come il “guasto dei Bentivoglio”. La testimonianza della devastazione sopravvive ancora nella toponomastica: a Bologna esistono una via del Guasto, che collega le odierne via delle Belle Arti e via Zamboni nel luogo in cui si trovava Palazzo Bentivoglio, e il Giardino del Guasto, che si trova dov’era un tempo il giardino del palazzo.
Il Teatro Comunale di Bologna, edificato sul luogo dove in antico sorgeva Palazzo Bentivoglio. Ph. Credit |
La mappa di Bologna realizzata nel 1638 da Matteo Borboni (e poi aggiornata nel 1724) con, in basso a sinistra, ancora le macerie sul luogo del guasto dei Bentivoglio, tra le odierne via Zamboni e via delle Belle Arti |
Ricostruzione ideale di Palazzo Bentivoglio in un’incisione ottocentesca |
Longhi riteneva pertanto che il ritratto eseguito da Ercole de’ Roberti fosse un’opera in qualche modo scampata al guasto: probabilmente il dipinto venne nascosto da qualche parte in città, e poi non se ne seppe più niente fino alla data del suo ritrovamento. Di conseguenza, del ritratto non si sono serbate neppure evidenze documentarie. O meglio: l’opera potrebbe essere attestata negli antichi inventarî dell’Università di Bologna, ma dal momento che i catalogatori del Settecento o successivi non hanno di sicuro riconosciuto il personaggio, è impossibile stabilire se il dipinto è presente o meno in qualche elenco. L’attribuzione a Ercole de’ Roberti fu infatti formulata da Longhi sulla base di evidenze stilistiche. Inoltre, lo studioso piemontese identificò il personaggio raffigurato in Giovanni II Bentivoglio sulla base del confronto con le altre immagini che del signore si conservano: abbiamo, per esempio, un altro ritratto di Ercole de’ Roberti che lo raffigura (è una delle due tavole del celebre Dittico Bentivoglio del 1475 circa, dove il signore, allora poco più che trentenne, è ritratto di profilo, in coppia con la moglie Ginevra Sforza: attualmente i due preziosi ritratti sono alla National Gallery di Washington), oppure il ritratto eseguito attorno al 1490 da Lorenzo Costa (Ferrara, 1460 - Mantova, 1535), oggi agli Uffizi, o ancora l’immagine del signore di Bologna che compare nella famosa Pala Bentivoglio del 1488, nella chiesa di San Giacomo Maggiore nel capoluogo emiliano (Giovanni II è inginocchiato ai piedi della Madonna). Ma non ci sono soltanto le immagini dipinte: al Museo di Palazzo Poggi, proprio di fronte al ritratto, il pubblico può osservare la Medaglia per Giovanni II Bentivoglio, concessa al museo universitario in deposito dal Museo Civico Archeologico di Bologna. Si tratta di una medaglia in bronzo, eseguita nel 1462 da uno dei più importanti medaglisti del tempo, Sperandio Savelli (Mantova, 1425 circa - Venezia, 1504), che disegnò l’allora diciannovenne Giovanni sul recto della medaglia (mentre sul verso possiamo osservare lo stemma dei Bentivoglio). Era probabilmente un oggetto realizzato per celebrare la proclamazione di Giovanni a Princeps del Senato di Bologna, ovvero capo del Senato, come attesterebbe l’iscrizione che corre sul bordo (“Ioanes Bentivolus Bonon. libertatis princeps”, ovvero “Giovanni Bentivoglio bolognese principe della libertà”: “Libertas” è il motto della città di Bologna).
Longhi avanzò anche l’ipotesi che debba trattarsi di un’opera degli anni Ottanta del Quattrocento (anche perché Ercole de’ Roberti lasciò definitivamente Bologna nel 1486), dato l’aspetto del signore e dato lo stile vicino a quello delle opere che l’artista ferrarese eseguì in quel periodo. In particolare, è stata notata una forte somiglianza con gli affreschi della distrutta Cappella Garganelli, che si trovava nella cattedrale di San Pietro a Bologna e che fu poi demolita nel Seicento nell’ambito dei lavori di ricostruzione dell’edificio sacro: oggi, l’unico frammento sopravvissuto è la Maddalena piangente ritrovata nel 1943 e conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, mentre altri brani dell’antica decorazione sono noti attraverso copie. In particolare, hanno evidenziato gli studiosi Andrea Bacchi e Daniele Benati, “gli affreschi Garganelli e il ritratto di Palazzo Poggi appaiono accomunati da una individualissima apertura nei confronti della ‘maniera moderna’“, e il confronto più serrato è proprio quello con la Maddalena piangente, “che si lega assai bene nella sua palpitante incisività ai brani meglio conservati del Ritratto”. Tutti gli studiosi non hanno infatti potuto far a meno di sottolineare la vivezza del ritratto, che lascia trapelare l’orgoglio e la fierezza di Giovanni II Bentivoglio: come s’è visto, non a caso Longhi lo paragonava, in virtù della sua “fermezza interiore”, a due capolavori coevi di Antonello da Messina (Messina, 1430 - 1479), il Ritratto d’uomo noto anche come Il condottiero, oggi al Louvre, e il Ritratto Trivulzio custodito invece a Torino, a Palazzo Madama. Tutti ritratti i cui soggetti, col loro cipiglio severo, ostentano sicurezza fin quasi al limite della superbia.
Sperandio Savelli, Medaglia di Giovanni II Bentivoglio (1462 circa; bronzo, diametro 110 mm; Bologna, Museo di Palazzo Poggi, in deposito dal Museo Civico Archeologico) |
Lorenzo Costa, Ritratto di Giovanni II Bentivoglio (1490 circa; tempera su tavola, 55 x 47 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Lorenzo Costa, Pala Bentivoglio (1488; tempera su tavola; Bologna, San Giacomo Maggiore) |
Ercole de’ Roberti, Ritratto di Giovanni II Bentivoglio, dettaglio |
Ercole de’ Roberti, Ritratto di Giovanni II Bentivoglio, dettaglio |
Ercole de’ Roberti, Volto di Maddalena piangente (1478-1486; affresco, 24,5 x 28,5 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale) |
Antonello da Messina, Ritratto d’uomo noto come Il condottiero (1475 circa; olio su tavola, 36 x 30 cm; Parigi, Louvre) |
Antonello da Messina, Ritratto d’uomo noto come Ritratto Trivulzio (1476; olio su tavola, 37,4 x 29,5 cm; Torino, Museo Civico d’Arte Antica) |
S’è fatto cenno, poco sopra, al Dittico Bentivoglio, altro capolavoro di Ercole de’ Roberti, per il quale il confronto col Ritratto di Giovanni II appare quasi naturale, tant’è che viene proposto anche nel saggio di Bacchi e Benati in cui l’opera di Palazzo Poggi è presa in esame. Il Dittico, opera in cui Giovanni II, come anticipato, è raffigurato di profilo in coppia con la moglie secondo la formula che Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1412 circa - 1492) aveva adottato nel suo famosissimo dittico dei duchi di Montefeltro (e che sicuramente era ben noto a Bologna, dal momento che Ginevra Sforza era sorella di Battista Sforza, moglie di Federico di Montefeltro, e pertanto l’urbinate e Giovanni II erano cognati), è il più antico ritratto di Ercole de’ Roberti che si conosca: tuttavia, se quest’ultimo s’inseriva nell’ambito di una tradizione consolidata (dal momento che, com’è noto, il ritratto di profilo, per il suo riecheggiare la numismatica dell’antica Roma, era il formato prediletto dai signori del Rinascimento) e si qualificava “come una sorta di ideale momento conclusivo delle grande stagione del ‘ritratto umanistico‘, che proprio in Emilia, nella Ferrara di Lionello d’Este, aveva avuto uno dei suoi più vitali capitoli d’avvio” (Bacchi e Benati), al contrario il Ritratto di Giovanni II risponde a spinte ben più moderne, che del resto già si erano palesate nella stessa Bologna. Ne è prova evidente il Ritratto d’uomo con anello dipinto da un altro ferrarese, Francesco del Cossa (Ferrara, 1435 circa - Bologna, 1476/1477), che per il suo soggetto scelte un’impostazione frontale, unendola a uno scorcio prospettico dal sapore fortemente illusionistico (occorre notare il particolare della mano che si protende verso il riguardante, oltre la balaustra di marmo), per un risultato che lascia supporre la conoscenza di opere fiamminghe da parte dell’autore. Peraltro, quando l’opera fu “riscoperta”, Berenson l’ascrisse a Ercole de’ Roberti, mentre si deve ancora al Longhi l’assegnazione alla mano di Francesco del Cossa e in particolare all’epoca del suo periodo bolognese: un’intuizione che poi avrebbe trovato conferma presso altri studiosi.
Concludendo la lettura del dipinto di Palazzo Poggi, si potrebbe supporre che il potente ritratto sia stato eseguito negli anni Ottanta non solo per ragioni stilistiche che lo accomunano ad altre opere del periodo, ma anche in virtù di ragioni politiche: gli anni Ottanta del Quattrocento rappresentarono infatti l’apice del potere bentivolesco, ragion per cui in quell’epoca Giovanni II s’impegnò quasi, spiegano Bacchi e Benati, “a tradurre eloquentemente in immagini la sua accresciuta stabilità politica”. Forse, anche per questo motivo il ritratto degli anni Ottanta segna un cambio di passo anche stilistico, con una resa monumentale che non soltanto accresce la severità del maturo Giovanni II (è ritratto che, rispetto all’immagine del Dittico Bentivoglio, suscita ben altra impressione), ma che potrebbe anche configurarsi come una dichiarazione della sua autorità politica. Un dipinto, insomma, estremamente aggiornato concepito per essere altamente comunicativo. In altri termini, con questo straordinario dipinto Ercole de’ Roberti si poneva nel solco degli artisti che avevano aperto la strada alla ritrattistica moderna.
Ercole de’ Roberti, Ritratto di Giovanni II Bentivoglio e Ritratto di Ginevra Sforza, conosciuti come Dittico Bentivoglio (entrambi 1475 circa; tempera su tavola, 54 x 38 cm; Washington, National Gallery of Art) |
Francesco del Cossa, Ritratto d’uomo con anello (1472-1477 circa; tempera su tavola, 38,5 x 27,5 cm; Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza) |
Longhi, come detto in apertura, lo esaminò che si trovava in uno stato di forte deterioramento e lo fece sistemare a sue spese (e un ulteriore restauro è stato condotto nel 2003), anche se, ormai, l’opera era compromessa: troppo abrasa la pellicola pittorica per tentare di avere una piena avvedutezza di come dovesse apparire in origine, col risultato che l’immagine del signore ne risulta irrimediabilmente appiattita. Eppure, anche in quello stato, il dipinto è in grado d’evocare felicemente il genio di Ercole de’ Roberti, la potenza del suo linguaggio espressivo, e il carattere fiero del signore. Il dipinto, esposto per qualche tempo al Museo della Storia di Bologna di Palazzo Pepoli, è tornato nel giugno del 2018 a Palazzo Poggi, in un allestimento nuovo, appositamente creato dall’architetto Cesare Mari e dalla ditta Tosetto, specializzata proprio in allestimenti d’interni. Per il ritratto, come enfaticamente sottolineato al momento della ricollocazione, s’è trattato d’un doppio ritorno a casa: nel luogo dove fu ritrovato, e nel quartiere dove viveva Giovanni II Bentivoglio.
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo