Caravaggio, doppi e copie: riemerge un’altra versione della “Buona ventura” del Campidoglio. I primi dati tecnici


Riemerge un'altra versione della “Buona ventura” di Caravaggio conservata alla Pinacoteca Capitolina: potrebbe trattarsi di un suo “doppio” giovanile?

È noto che Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano, 1571-Porto Ercole, 1610) ebbe modo di entrare nell’orbita del cardinale Francesco Maria del Monte a Roma grazie all’interessamento dell’amico Prospero Orsi delle Grottesche. Il prelato (così narra la biografia di Gaspare Celio scoperta di recente) cercava un giovane pittore che dipingesse delle copie e Prospero gli presentò l’amico lombardo, particolarmente bisognoso nei suoi primi tempi trascorsi nell’Urbe. Ciò conferma l’attitudine giovanile del Merisi alla copia, come si deduce da più testimonianze storiografiche, e tale circostanza stimola ulteriori ragionamenti sullo spinoso tema delle repliche di sue invenzioni, soprattutto quelle più precoci, una delle questioni assai intriganti che da lungo tempo viene affrontata dagli studi caravaggeschi.

Non di tutti i dipinti eseguiti dal Caravaggio si conoscono redazioni coeve: la maggior parte delle copie da sue opere furono prodotte tra il 1610 e il 1640 circa, più o meno a partire dal momento della sua drammatica scomparsa fino alle prime avvisaglie dell’arte barocca. È sempre stato giudicato singolare il fatto che esistano relativamente poche copie contemporanee dei quadri eseguiti dal Merisi nel periodo trascorso a Palazzo Madama presso del Monte, che vi ospitò per alcuni anni l’artista da lui stipendiato: ad esempio fino ad ora della Buona ventura, o Zingara (conservata nelle raccolte capitolinee già documentata ab antiquo nella collezione del cardinale fino alla vendita all’asta nel 1628, anno successivo alla morte di del Monte) erano note solo due traduzioni assai tarde, cioè ottocentesche: una su tela di identiche dimensioni rispetto all’originale, l’altra su rame di cm 35 x 45.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La  Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 115 x 150 cm; Roma, Musei Capitolini – Pinacoteca Capitolina)
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 115 x 150 cm; Roma, Musei Capitolini – Pinacoteca Capitolina)

Le citazioni storiografiche relative a questo particolare soggetto iconografico caravaggesco non risolvono definitivamente le questioni relative alla genesi dell’opera, un problema che si intreccia con l’esistenza di un’altra versione, parimenti autografa, e altrettanto ben nota. Si tratta della tela conservata al Musée du Louvre, che corrisponde al quadro del Caravaggio che secondo lo storiografo seicentesco Giulio Mancini era di proprietà di Alessandro Vittrice (o Vittrici), parente di Prospero Orsi. Purtroppo non è stato ancora possibile chiarire del tutto se “la Zingara” venduta dal Caravaggio per soli otto scudi, ricordata in altra parte del manoscritto di Mancini, corrisponda alla versione del Monte o a quella Vittrice.

A complicare non poco tutta la questione riemerge ora un’altra versione della Buona ventura dalmontiana, realizzata nella medesima epoca e pressoché fedele dal punto di vista della composizione, anche se di dimensioni inferiori (cm 92,5 x 120) rispetto all’originale capitolino, che rivela alcune caratteristiche tecniche e stilistiche piuttosto interessanti. In attesa di ulteriori approfondimenti specialistici, attualmente è possibile rendere note alcune sue peculiarità, che potrebbero dimostrarsi utili a un ulteriore approfondimento dell’argomento relativo ai cosiddetti “doppi” caravaggeschi giovanili, cioè quelle repliche più o meno fedeli di soggetti peculiari come il Ragazzo morso dal ramarro, il Suonatore di liuto, la Medusa, il più tardo San Francesco, ecc.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La  Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 99 x 131 cm; Parigi, Musée du Louvre)
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 99 x 131 cm; Parigi, Musée du Louvre)


da Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La  Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 92,5 x 120 cm)
da Michelangelo Merisi da Caravaggio, Buona ventura (“La Zingara”) (1596-1597 circa; olio su tela, 92,5 x 120 cm)

La copia ritrovata della Buona ventura capitolina appare rintelata, un intervento databile tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo. Il supporto (un’unica pezza di tela con densità di circa 7x8 fili/cm), fu nell’occasione leggermente ridotto in tutto il perimetro, nell’ordine di uno-due centimetri circa ripiegati sul nuovo telaio ligneo. Probabilmente nella stessa circostanza furono eseguite le ridipinture (una sorta di “rafforzatura”) di buona parte degli incarnati (i visi e le mani della zingara e del giovane col cappello piumato), ora fortemente polimerizzate, dunque penetrate nella profondità della materia pittorica. Le altre parti della pittura, piuttosto granulosa e corposa, non presentano ridipinture, ma sono consunte da puliture eccessive che hanno affievolito anche molte delle finiture superficiali originali. Alcune cadute di colore, dovute ad azioni abrasive di tipo meccanico e fortunatamente intervenute in zone relativamente poco significative, tranne quella che interessa lo spazio tra la bocca e il mento del protagonista maschile, risultano stuccate in epoca recente e contestualmente reintegrate.

Assai singolare appare la tavolozza utilizzata su una preparazione bruno-rossastra visibile attraverso alcune minutissime lacune della pittura: essa è caratterizzata da colori a base di ocre, bianco di piombo, verde-rame e lacca rossa oltre al nero, tinte molto prossime a quelle della Zingara Dal Monte-Capitolina, anche se va notato che il mantello della donna nell’opera romana è però blu e non verde. In questo senso la tela riscoperta mostra più somiglianze cromatiche con la versione del Louvre, con cui condivide all’incirca anche le dimensioni: infatti la “Zingara” parigina misurava in origine cm 94 x 123 (attualmente invece è di cm 99 x 131, in seguito agli interventi che hanno ampliato la tela successivamente all’arrivo in Francia nel 1665).

Le pennellate si presentano veloci e molto fluide, in più parti rivelano un tipo di stesura assai rapida con qualche sovrapposizione di colore e alcuni bordi risolti con quella tecnica ormai usualmente definita “a risparmio”. Certi spazi risultano inoltre differenti rispetto a quelli corrispondenti dell’originale capitolino: in quest’ultima tela il gomito del cavaliere dal cappello piumato, ad esempio, è visibilmente più vicino all’estremità della composizione e non mancano altre minime varianti di dimensioni nei dettagli. Va riscontrato inoltre che molte delle finiture che erano state date con velature superficiali sono ora quasi sparite, ad esempio nei colletti e nei polsini ricamati: a tal proposito va detto che sono percepibili anche a occhio nudo, con la giusta illuminazione di supporto (probabilmente a causa della notevole consunzione delle campiture pittoriche), alcune interessanti tracce di segni delle forme incisi nella preparazione e, aspetto piuttosto singolare, il colletto della camicia della zingara non solo ha i doppi bordi chiaramente definiti da questo tipo di incisione, ma pure l’intero ricamo fu eseguito allo stesso modo, completamente inciso sulla materia di base, tanto che attualmente, essendo il nero del motivo decorativo quasi del tutto consunto, esso è visibile pressoché totalmente solo grazie alle stesse incisioni. Per quanto se ne sa, non esistono dettagli di questo tipo realizzati dal Caravaggio con la stessa particolarità.

Queste indicazioni potrebbero gettare nuova luce sull’eventualità che pure altri artisti attivi accanto al Caravaggio nell’“accademia” dalmontiana in Palazzo Madama utilizzassero le medesime sue modalità tecnico-stilistiche, eseguendo copie col consenso dello stesso artista, oltre che del cardinale. Ma non bisogna tralasciare altre possibilità non meno affascinanti, una volta approfondite e verificate con ulteriore attenzione tutte le peculiarità emergenti dalla “Zingara” ritrovata: non si può escludere infatti di essere di fronte a un altro dei non pochi “doppi” di Michelangelo Merisi da giovane, quando più aveva bisogno di soldi e perciò replicava volutamente se stesso e i suoi soggetti più fortunati.


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