10 dipinti di Vincent van Gogh che compaiono nel film “Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità” e dove vederli dal vivo


Nel film “Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità” compaiono diverse opere di Vincent van Gogh. Ne abbiamo selezionate dieci, proponendo il fotogramma del film in cui appaiono, l'immagine dell'opera reale, e una breve descrizione.

Una delle particolarità del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità, in uscita nei cinema italiani il 3 gennaio 2019 (a questo link un approfondimento che vi illustra le ragioni per cui vederlo), consiste nel fatto che i dipinti che si osservano nelle scene della pellicola diretta da Julian Schnabel non sono semplici riproduzioni dei lavori di Vincent van Gogh (Zundert, 1853 - Auvers-sur-Oise, 1890), ma si tratta di opere realizzate ex novo, veri dipinti che il regista ha voluto venissero creati da zero. “L’atto del dipingere”, ha infatti spiegato Schnabel, “doveva essere autentico, e volevo fare un film che riproducesse fedelmente ciò che i pittori pensano e anche quale sia il rapporto di noi artisti con altri pittori, compresi quelli che sono vissuti prima di noi”.

L’attore protagonista, Willem Dafoe, che indossa i panni del grande pittore olandese (e che per la sua interpretazione si è aggiudicato la Coppa Volpi alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia), ha dovuto imparare a dipingere: “Questo è un film che parla tanto di pittura quanto di Van Gogh”, ha spiegato l’attore, “per cui gran parte del lavoro per me è consistito nell’imparare a dipingere, e ancor di più nell’imparare a osservare. Abbiamo iniziato in modo molto semplice, con me che studiavo i materiali e come tenere il pennello in mano. Poi Julian ha iniziato a chiedermi di dipingere per conto mio. Non si può dire che io sia diventato un vero pittore in questo breve lasso di tempo, ma sento che quello che Julian mi ha insegnato mi ha aiutato a vedere le cose in modo diverso”. Julian Schabel non è solo un regista di successo, ma è anche e soprattutto un artista di fama internazionale. “In modo molto concreto”, aggiunge Dafoe, “mi ha fatto accostare più profondamente alla realtà di Vincent, perché mi ha fatto scoprire com’è assistere ai mutamenti della percezione che avvengono mentre lavori. Mi ha fatto comprendere meglio alcuni aspetti dell’arte che pensavo di conoscere già ma che in realtà non sapevo. Ho imparato come toccare una tela, come accostarmi al colore, quali strategie adottare e come poi abbandonare ogni strategia. Soprattutto ho capito che la pittura è una combinazione di ispirazione, impulso, tecnica, esercizio e poi abbandono dell’esercizio. Una delle cose che mi piace di più del film è che riesce a documentare parte di questo processo, una cosa che raramente ci è dato di vedere”.

Dafoe si è dunque cimentato nell’impresa di replicare i veri quadri di Vincent van Gogh. Sono diversi i dipinti celebri che si vedono nel corso del film. In questo approfondimento ne vediamo da vicino dieci, proponendovi il fotogramma del film in cui appaiono, l’immagine del dipinto reale, e una breve descrizione.

1. Susino in fiore
(1887; olio su tela, 55,6 x 46,8 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Il film si apre nella Parigi degli inizî del 1888: Vincent van Gogh ha allestito una sua mostra presso un caffè della capitale francese (la pellicola non specifica quale), ma si rivela un insuccesso, e il proprietario dell’esercizio commerciale (interpretato dall’attore belga Vincent Grass) lo invita in malo modo a togliere i suoi quadri e ad andarsene. Ecco il dialogo:

- Voglio sbarazzarmi di tutta questa roba, subito! Avevi parlato di una mostra collettiva, con degli artisti veri. Questi sono tutti tuoi. Tutti! Dove sono gli altri? Nessuno viene per vedere te. Nessuno. Sì, va bene un cliente è venuto. Uno solo. Ma l’idea era di attirare i clienti, non di spaventarli! Questa roba deve sparure, subito!
- Ma doveva durare ancora due settimane...
- Invece finisce oggi. Basta così!
- Cos’è che non vi piace?
- Niente, capito? Non mi piace niente!


Tra le opere che si vedono alle spalle di van Gogh e del proprietario del caffè, è possibile notare anche il Susino in fiore del 1887, una japonaiserie (ovvero un dipinto a soggetto giapponese) che il pittore realizzò a partire da una stampa di Hiroshige del 1857, il Giardino di Kameido. Van Gogh, da quando nel 1885 si era trasferito ad Anversa, aveva cominciato a collezionare stampe giapponesi: erano infatti oggetti che si potevano comperare a prezzi molto contenuti, e van Gogh fu sempre molto affascinato da tutto ciò che arrivava dall’estremo oriente, tanto che la sua decisione di spostarsi ad Arles fu anche motivata dalla volontà di trovare in Provenza una luce simile a quella del paese del Sol Levante. Per approfondire i rapporti tra van Gogh e l’arte giapponese, è possibile leggere l’articolo che la nostra rivista ha dedicato all’argomento.

Vincent van Gogh, Susino in fiore (1887; olio su tela, 55,6 x 46,8 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)
Vincent van Gogh, Susino in fiore (1887; olio su tela, 55,6 x 46,8 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

2. Al caffè: Agostina Segatori a Le Tambourin
(1887; olio su tela, 55,5 x 47 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Sempre nella scena iniziale, quella della mostra presso il caffè parigino, nel momento in cui van Gogh chiede, estremamente costernato e con tono dimesso, cosa non piaccia al proprietario, lo vediamo mentre prende in mano il ritratto di Agostina Segatori al Café Le Tambourin. L’opera fu realizzata a Parigi nei primi anni del 1887: Agostina Segatori era la proprietaria del Café Le Tambourin, che van Gogh era solito frequentare al tempo del suo soggiorno parigino, e dove ebbe modo anche di esporre i suoi dipinti, oltre alla propria raccolta di stampe giapponesi, con l’obiettivo di venderle. Agostina Segatori (Ancona, 1841 - Parigi, 1910) si era trasferita giovanissima a Parigi: non abbiamo notizie sulla sua infanzia, né sappiamo chi fossero i suoi genitori, ma siamo certi del fatto che già nel 1860 si trovasse nella capitale francese, dove aveva cominciato a posare per gli artisti (un suo straordinario ritratto, oggi conservato alla National Gallery of Art di Washington, fu realizzato da Jean-Baptiste-Camille Corot). Van Gogh la ritrae seduta a un tavolo del bar, mentre fuma una sigaretta con, davanti a sé, un boccale di birra. Giova sottolineare che, all’epoca, per una donna di buoni costumi era considerato disdicevole mostrarsi al bar intenta a bere e fumare, e le donne che lo facevano godevano di bassa considerazione sociale.

Vincent van Gogh, Al caffè: Agostina Segatori a Le Tambourin (1887; olio su tela, 55,5 x 47 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)
Vincent van Gogh, Al caffè: Agostina Segatori a Le Tambourin (1887; olio su tela, 55,5 x 47 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

3. Paesaggio innevato
(1888; olio su tela, 38,2 x 46,2 cm; New York, Solomon R. Guggenheim Museum)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

In una delle scene iniziali di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità, vediamo il cosiddetto Paesaggio innevato che l’artista realizzò ad Arles nel febbraio del 1888, poco dopo il suo arrivo. La prima impressione che l’artista ebbe con la cittadina della Camargue non fu felice: van Gogh infatti vi arrivò in pieno inverno e trovò la Provenza innevata, contrariamente alle sue aspettative (anche se poi, con l’arrivo della primavera, la sua attitudine cambiò, non appena ebbe modo d’apprezzare la luce mediterranea della regione). Il gelido inverno di quell’anno non impedì comunque all’artista olandese di esprimere la propria creatività, e appena giunto ad Arles realizzò questo dipinto, oggi uno dei suoi più celebri. In questa raffigurazione della campagna della Provenza, dove l’unica presenza umana è un personaggio che si aggira tra i campi con il suo cane (e che probabilmente si sta avviando verso il casolare che vediamo in lontananza: l’accento rosso del tetto è il dettaglio più squillante di tutta la composizione), è ancora palpabile la suggestione esercitata dall’arte giapponese. Il Paesaggio innevato è stato protagonista di un curioso episodio all’inizio del 2018: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva chiesto l’opera in prestito al Guggenheim Museum per esporla nella Sala Ovale della Casa Bianca. L’istituto newyorkese aveva risposto negativamente, proponendogli però in sostituzione l’opera America di Maurizio Cattelan, il famosissimo wc in oro da 18 carati che l’artista padovano ha appositamente realizzato per il Guggenheim.

Vincent van Gogh, Paesaggio innevato (1888; olio su tela, 38,2 x 46,2 cm; New York, Solomon R. Guggenheim Museum)
Vincent van Gogh, Paesaggio innevato (1888; olio su tela, 38,2 x 46,2 cm; New York, Solomon R. Guggenheim Museum)

4. Scarpe
(1888; olio su tela, 45,7 x 55,2 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Non è rara l’attenzione di Vincent van Gogh per gli oggetti d’uso quotidiano. Le scarpe, in particolare, tornano diverse volte: si tratta di un soggetto che il pittore olandese aveva già raffigurato durante il soggiorno parigino e sul quale si concentra anche nel corso della sua permanenza in Provenza. Le Scarpe attualmente conservate al Metropolitan di New York sono state realizzate ad Arles nel 1888, e questa versione si distingue dalle altre perché è l’unica in cui compare un pavimento a quadri, un preciso riferimento spaziale: gli studiosi hanno riscontrato che si tratta del pavimento della famosa “casa gialla”, dove van Gogh risiedette durante il suo soggiorno ad Arles. Le scarpe potrebbero quindi essere le sue, ma c’è chi ipotizza che si tratti delle scarpe di Patience Escalier, un contadino del luogo ritratto da van Gogh in un altro celebre dipinto. Le scarpe potrebbero essere infatti un simbolo dell’empatia che l’artista provava nei confronti dei contadini, alle cui sofferenze intese dar voce fin dagli inizî della sua carriera (anche perché van Gogh era un avido lettore di opere di scrittori socialmente impegnati).

Vincent van Gogh, Scarpe (1888; olio su tela, 45,7 x 55,2 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Vincent van Gogh, Scarpe (1888; olio su tela, 45,7 x 55,2 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

5. Oleandri
(1888; olio su tela, 60,3 x 73,7 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Gli Oleandri oggi al Metropolitan di New York sono protagonisti di uno dei più interessanti dialoghi del film, durante il quale emerge per la prima volta l’idea dell’“eternità” dell’artista di Zundert. Van Gogh si trova a dipingere in presenza di Gabby (personaggio inventato, è l’inserviente dell’hotel in cui il pittore alloggia nei primi tempi dopo il suo arrivo ad Arles, ed è interpretata dalla figlia di Julian Schnabel, Stella), e i due scambiano alcune battute sull’opera:

- I fiori, perché li dipingete?
- Non li trovate belli?
- Sono bei fiori certo. Più di come li dipingete voi.
- Credete?
- Certo.
- Forse avete ragione. Però quei fiori appassiranno e moriranno, come tutti i fiori.
- Lo so, lo sanno tutti.
- Mentre i miei resisteranno.
- Siete sicuro?
- Almeno avranno una possibilità.


Van Gogh associava gli oleandri, i fiori protagonisti di quest’opera (l’artista li sistema all’interno di un vaso di maiolica), a sentimenti positivi: ne è prova il fatto che nella composizione i fiori appaiono vicini al libro di Émile Zola, La joie de vivre, altra prova tangibile degli interessi letterarî dell’artista. L’opera fu realizzata ad Arles nel 1888.

Vincent van Gogh, Oleandri (1888; olio su tela, 60,3 x 73,7 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Vincent van Gogh, Oleandri (1888; olio su tela, 60,3 x 73,7 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

6. Girasoli
(1889; olio su tela, 95 x 73 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Probabilmente l’opera più famosa che si vede nel film, i Girasoli compaiono nella versione dipinta ad Arles nel gennaio del 1889 e attualmente conservata al Van Gogh Museum di Amsterdam. Sono cinque i dipinti aventi per soggetto i girasoli nel vaso che si trovano in collezioni pubbliche (oltre a quello di Amsterdam, se ne conservano uno al Philadelphia Museum of Art, uno alla National Gallery di Londra, uno al Sompo Japan Museum of Art di Tokyo e uno alla Neue Pinakothek di Monaco di Baviera), e oltre a questi ne esiste uno in collezione privata, e un settimo, un tempo in Giappone, è andato distrutto nell’agosto del 1945 durante gli attacchi aerei statunitensi contro i giapponesi nel corso della seconda guerra mondiale. Van Gogh dipinse i suoi girasoli utilizzando esclusivamente varie nunance di giallo, per dimostrare come sia possibile creare opere d’arte anche soltanto con un unico colore senza perdere in intensità. Sappiamo inoltre che i girasoli, che l’artista dipinse per decorare la casa che aveva preso in affitto ad Arles (nel film, infatti, van Gogh è colto nell’atto d’appendere a una parete l’opera oggi ad Amsterdam) avevano un significato importante per lui: il pittore li associava infatti alla gratitudine, com’ebbe modo di scrivere nelle sue lettere. Il 22 gennaio del 1889 scrisse da Arles un messaggio all’allora ventinovenne pittore olandese Arnold Koning, suo amico, nel quale van Gogh diceva: “in tutto questo tempo ho dipinto molti studî e dipinti. Tra gli altri che ho realizzato quest’estate, due nature morte floreali con nient’altro che girasoli in un vaso di terracotta giallo. Dipinti con giallo cromo, ocra e verde Veronese, e nient’altro”.

Vincent van Gogh, Girasoli (1889; olio su tela, 95 x 73 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)
Vincent van Gogh, Girasoli (1889; olio su tela, 95 x 73 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

7. Il postino Joseph Roulin
(1888; olio su tela, 81,3 x 65,4 cm; Boston, Museum of Fine Arts)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Il signor Joseph Roulin era un postino in servizio ad Arles e divenne ben presto amico di Vincent van Gogh, che lo fece diventare soggetto di uno dei suoi ritratti più famosi, probabilmente per via del suo aspetto e del suo portamento, che per l’artista erano particolarmente evocativi. Così scriveva il 31 luglio del 1888 a suo fratello Theo: “adesso sto lavorando con un altro modello, un postino in uniforme blu con guarnizioni dorate, e una grande faccia con la barba, mi ricorda Socrate. Un repubblicano scatenato, come père Tanguy. Un uomo più interessante di tante altre persone”. In effetti, il ritratto di van Gogh conferisce all’umile postino un’elevatissima dignità: non sembra più un portalettere, ma pare quasi un comandante della Marina, con la sua uniforme blu decorata, la sua posa composta, quasi da ritratto ufficiale, il suo sguardo fiero puntato dritto davanti a sé. La vicinanza di Joseph Roulin a Vincent van Gogh è testimoniata dai tanti altri ritratti che l’artista gli fece e che oggi sono conservati in diverse collezioni di tutto il mondo (e conosciamo anche alcuni ritratti dei suoi familiari, a cominciare dalla piccola Marcelle, la figlia minore di Joseph, che aveva appena quattro mesi quando Vincent la ritrasse).

Vincent van Gogh, Il postino Joseph Roulin (1888; olio su tela, 81,3 x 65,4 cm; Boston, Museum of Fine Arts)
Vincent van Gogh, Il postino Joseph Roulin (1888; olio su tela, 81,3 x 65,4 cm; Boston, Museum of Fine Arts)

8. La notte stellata
(1889; 73,7 x 92,1 cm; New York, MoMA - Museum of Modern Art)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

“Questa mattina ho visto la campagna dalla mia finestra molto prima che il sole sorgesse, con nient’altro che la stella del mattino, che mi sembrava molto grande. Daubigny e Rousseau l’hanno già dipinta, esprimendo tutta l’intimità e tutta la pace e la maestosità che ha, aggiungendovi un sentimento così straziante, così personale”. Così scriveva Vincent van Gogh a suo fratello Theo da Saint-Rémy-de-Provence in un giorno tra il 31 maggio e il 6 giugno del 1889: la visione che l’artista descrive nella missiva è quella che avrebbe dato vita a uno dei suoi capolavori più celebri, La notte stellata. La “stella del mattino” a cui si riferisce è il pianeta Venere, che è particolarmente brillante sul far del mattino negli ultimi giorni di maggio: nell’opera, Venere è l’astro che brilla di luce biancastra in basso, vicino all’alto cipresso che divide la composizione. Quello che osserviamo ne La notte stellata non è un paesaggio reale: gli elementi sono frutto dell’invenzione dell’artista (lo si evince soprattutto osservando la guglia della chiesa: non ne esistono di simili nell’area della Francia in cui il pittore si trovava al tempo), che con quest’opera vuol dar corpo a una visione interiore, di grandissima forza, estremamente coinvolgente, capace di evocare sentimenti di pace e quiete, e di rimandare anche a una sentita dimensione onirica (per van Gogh, guardare le stelle è un modo per sognare).

Vincent van Gogh, La notte stellata (1889; 73,7 x 92,1 cm; New York, MoMA - Museum of Modern Art)
Vincent van Gogh, La notte stellata (1889; 73,7 x 92,1 cm; New York, MoMA - Museum of Modern Art)

9. Autoritratto come pittore
(1887-1888; olio su tela, 65,1 x 50 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Nel corso della sua carriera, Vincent van Gogh produsse un’elevatissima mole di autoritratti. Sono soltanto due però gli autoritratti in cui si presenta con gli strumenti del mestiere, e questo è l’ultimo noto, oltre che l’ultima opera in assoluto del suo soggiorno parigino (fu realizzato tra il dicembre del 1887 e il febbraio del 1888). Di questo autoritratto, il pittore parlò in una lettera inviata da Arles a sua sorella Willemien, tra il 16 e il 20 giugno del 1888: “dal momento che sono molto occupato con me stesso, mi piacerebbe vedere se sono in grado di fare il mio ritratto con la scrittura. Innanzitutto comincerei dicendo che, secondo me, la stessa persona può fornire materiali per ritratti molto diversi. Qui c’è un’impressione di me, che è il risultato di un ritratto che ho dipinto allo specchio, e che Theo possiede: una faccia rosa-grigio con gli occhi verdi, i capelli biondo cenere, le rughe sulla fronte a attorno alla bocca, severamente rigida, una barba rossa, piuttosto trasandata e triste, ma le labbra sono piene, c’è una camicia di lino grezzo, e una tavolozza con giallo limone, vermiglione, verde Veronese, blu cobalto, in breve tutti i colori primari e secondari, tranne l’arancio della barba”. L’arancio in realtà è anch’esso sulla tavolozza, ma van Gogh lo esclude dalla lista perché lo ha inserito in due diverse tonalità. Van Gogh conosceva la teoria dei colori e sapeva che l’utilizzo dei colori complementari avrebbe reso più luminoso il dipinto: così, all’arancio della barba si oppone il suo colore complementare, il blu della camicia.

Vincent van Gogh, Autoritratto come pittore (1887-1888; olio su tela, 65,1 x 50 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)
Vincent van Gogh, Autoritratto come pittore (1887-1888; olio su tela, 65,1 x 50 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum)

10. Il dottor Paul Gachet
(1890; olio su tela, 68 x 57 cm; Parigi, Musée d’Orsay)

Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità
Fotogramma del film Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità

Sul finale di Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità, l’artista, trasferitosi da Arles ad Auvers-sur-Oise, discute con il dottor Paul Gachet, il medico che lo aveva in cura (e che fu, peraltro, appassionato collezionista d’arte). Nel dialogo, van Gogh torna a parlare di eternità:

- Perché dipingete?
- Dipingo... in realtà per smettere di pensare.
- È una specie di meditazione...
- Quando dipingo smetto di pensare.
- Pensare a cosa?
- Smetto di pensare e sento... di essere parte di qualsiasi cosa fuori e dentro di me. Volevo... così fortemente condividere ciò che vedo. Un artista...
- Sì?
- Pensavo che una artista... dovesse insegnare come guardare il mondo, ma ora non lo penso più. Ora penso solo al mio rapporto con l’eternità.
- Cos’è per voi l’eternità?
- Il tempo a venire.
- Forse volete dire che il vostro dono al mondo è la vostra pittura.
- Altrimenti... a che serve un artista?
- Siete felice quando dipingete.
- Quasi sempre, salvo quando non ci riesco.
- A volte sembrate così triste.
- Sapete, un dipinto riuscito porta con sé un bagaglio di distruzione e fallimento. Trovo gioia nel dolore. Il dolore è più potente della risata. Sapete... un angelo non è cosi distante dagli afflitti. E la malattia... a volte ci può guarire. È il normale stato d’animo da cui ha origine un dipinto.
- È il vostro stato d’animo?
- A volte temo di ritrovare la mia salure.
- In tal caso non vi occorre un dottore!


Van Gogh eseguì almeno due ritratti del dottor Gachet, uno dei quali è quello conservato al Musée d’Orsay. Il dipinto rimase, peraltro, nella collezione di famiglia dopo la scomparsa del dottore: furono i suoi figli, Paul e Marguerite, che lo donarono allo Stato francese nel 1949, per il museo dello Jeu de Paume: fu qui esposto fino al 1986, anno in cui l’opera entrò a far parte della raccolta del Musée d’Orsay. Il dottore è ritratto con fare meditativo ed “espressione malinconica”, come la definì lo stesso van Gogh in una lettera inviata alla sorella Willemien nel 1890: era particolarmente adatta, sottolineava van Gogh, a incarnare “l’espressione sconsolata dei nostri tempi”. E la sconsolatezza appare chiara anche dalla gamma cromatica che l’artista ha adoperato, tutta impostata su toni freddi (e poco ravvivata dalla presenza del fiore sul tavolo). Il dipinto del Musée d’Orsay è considerato la seconda versione di un originale conservato in collezione privata e di cui si sono perse le tracce: nell’originale, a sottolineare ancor più l’attitudine meditativa del dottor Gachet (che, purtroppo, nulla poté fare per impedire la scomparsa di Vincent), compariva anche un libro sul tavolo.

Vincent van Gogh, Il dottor Paul Gachet (1890; olio su tela, 68 x 57 cm; Parigi, Musée d'Orsay)
Vincent van Gogh, Il dottor Paul Gachet (1890; olio su tela, 68 x 57 cm; Parigi, Musée d’Orsay)


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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