La Colonna Traiana, costruita per celebrare la vittoria dell'imperatore Traiano sui Daci e la conseguente conquista della regione (all'incirca corrispondente all'attuale Romania), è uno dei più importanti monumenti dell'Impero Romano che ci siano rimasti. Scopriamo la storia e le decorazioni, che narrano la storia di Traiano, insieme a Luca!
Imponente e maestosa, sola in mezzo ad un cumulo di rovine e circondata dagli edifici che le sono stati edificati intorno nel corso dei secoli, la Colonna Traiana è l’unica superstite del maestoso complesso che fu il foro fatto costruire in soli 6 anni (dal 107 al 113) dall’imperatore Traiano con il bottino derivato dalle vittoriose campagne militari combattute contro i Daci tra il 101 e il 106 d.C.
Scrive lo storico Dione Cassio (c. 160-235) nella sua Historia Romana: “Nella piazza Traiano eresse anche una grande colonna, sia perché servisse come sua tomba sia perché mostrasse il lavoro compiuto per il foro. Poiché infatti tutto il terreno era montagnoso, egli lo fece scavare di tanto quanto si erge la colonna, e in tal modo rese tutta la piazza pianeggiante”. Partiamo da queste parole di un osservatore quasi contemporaneo, per contestualizzare il complesso architettonico nel quale venne inserita la colonna.
Marco Ulpio Nerva Traiano, optimus princeps in carica dal 98 al 117, decise di far edificare il proprio foro con un duplice scopo: immortalare il ricordo delle importanti e vittoriose imprese belliche compiute, ed rendere eterno il proprio nome attraverso un monumento che, ricordando quanto realizzato in vita, ne conservasse le spoglie.
Per poter innestare il suo tra i fori già esistenti nel cuore dell’Urbe (quello di Cesare e quello di Augusto), l’imperatore fece tagliare una sella che collegava il Campidoglio al Quirinale, per un’altezza pari a quella della colonna. Il progetto fu affidato all’architetto Apollodoro di Damasco, il quale impaginò la struttura in uno schema rigidamente simmetrico. È possibile immaginare quali fossero la forma e la struttura del foro attraverso gli scavi archeologici, la lettura delle fonti antiche che lo descrivono, infine attraverso le immagini presenti sulle monete coniate durante l’impero di Traiano. Per lo schema generale del complesso pare che l’architetto si fosse ispirato al modello di un castrum, il tipico accampamento militare romano. Al foro si accedeva da sud, passando attraverso un grande arco trionfale; ci si trovava quindi all’interno di una grande piazza circondata da portici coperti, ai lati dei quali si aprivano due grandi esedre (di queste una sola è ancora oggi visibile sul lato orientale della piazza, attaccata ai mercati fatti edificare anch’essi dall’imperatore nello stesso giro di anni). Chiudeva il lato settentrionale della piazza il fianco della maestosa Basilica Ulpia, un edificio che ospitava vari uffici amministrativi. Proseguendo verso nord, due biblioteche (una latina e una greca) fronteggiavano la maestosa colonna. Dai tetti della Basilica Ulpia e delle due biblioteche era possibile ammirare in tutta la sua bellezza l’intera decorazione della colonna.
Alta poco meno di 40 metri, questa colonna coclide si erge sopra un basamento di circa 5,40 metri di altezza, scolpito a bassorilievo con la rappresentazione delle armi barbariche deposte e ammassate, e si compone di 17 rocchi di marmo bianco di Carrara, scavati all’interno per formare una scala a chiocciola che sale fino alla cima (da cui il termine coclide, che appunto indicava anticamente una colonna con scala interna a chiocciola). I blocchi sono percorsi esternamente da un fregio spiraliforme, scolpito anch’esso a bassorilievo, che si avvolge lungo tutta la lunghezza della colonna (altro significato, per estensione, dell’aggettivo coclide). Su uno dei lati del basamento si apre una porta che dà accesso ad un vano (la camera funeraria): da qui parte la scala con cui si poteva raggiungere la cima della colonna dove era collocata una statua dell’imperatore, oggi perduta. Entro i 23 giri del fregio, lungo complessivamente circa 200 metri, vengono raccontate le campagne daciche secondo una delle più superbe modalità espressive che siano state concepite e realizzate dall’arte romana.
La decorazione della Colonna Traiana rappresenta un’innovazione nel campo dell’arte romana da diversi punti di vista. Unisce una serie di tradizioni che mai erano state fuse in un mélange come quello rappresentato da quest’opera. Nessuna colonna celebrativa prima di allora, infatti, era stata concepita con una decorazione a fregio continuo. I modelli per la realizzazione dell’insieme, sia sotto il piano formale che sotto quello tematico, sono molteplici e cercheremo di renderli chiari.
Cominciamo dalla tipologia. L’idea di “avvolgere” la colonna con un apparato ornamentale, trova le proprie origini nella pratica di agghindare colonne e baldacchini con stoffe decorate in occasione di alcune festività (come si vede rappresentato, ad esempio, sul tempietto funerario degli Haterii, una famiglia di impresari edili, datato nello stesso torno di anni). Tuttavia, l’immagine di un racconto continuo ed unitario, che si “srotola” dall’inizio della decorazione fino alla sommità, richiama alla mente anche i rotuli illustrati: per i loro testi, i romani non utilizzavano i codices come sarà in uso a partire dal primo medioevo – formati da pagine pergamenacee cucite insieme e che avevano la forma degli odierni libri –, ma si servivano dei volumina, ovvero rotoli di papiro (raramente pergamena) che venivano tenuti con la destra e srotolati con la sinistra; talvolta i rotuli contenevano una decorazione continua che occupava una porzione dello spazio (superiore o inferiore ) ed erano accompagnati da un testo che descriveva verbalmente l’azione rappresentata (come, ad esempio, si vede in un preziosissimo rotulo bizantino del X secolo, illustrato con scene che raccontano la storia di Giosuè).
Per quanto riguarda il tema, invece, ci si discosta sia dai modelli dei rotuli che da quelli delle stoffe decorate. La rappresentazione di una campagna militare realizzata secondo schemi iconografici ben precisi (come le varie adlocutiones che l’imperatore teneva di fronte all’esercito o come la rappresentazione di scene di battaglia in cui viene messo in mostra il valore dell’esercito nemico per sottolineare la conseguente superiorità delle truppe romane), ha le sue radici in una tradizione vecchia di secoli a Roma: quella delle tabulae triumphales. Con questo termine si intende un complesso di dipinti che venivano realizzati per celebrare e raccontare i trionfi militari dei generali romani durante il ritorno vittorioso in città e che erano esposti temporaneamente alla visione dei cittadini. Del tutto nuova è quindi, sulla Colonna Traiana, l’idea di richiamarsi a questa tipologia, rendendola, da una parte, eterna attraverso l’uso della scultura e, dall’altra parte, espandendola in un racconto lungo 200 metri (!).
Non è possibile ad oggi dare un nome all’ideatore del programma iconografico che si spiega nei 23 giri del fregio, convenzionalmente chiamato “Maestro delle Imprese di Traiano” e che è stato magistralmente descritto da Ranuccio Bianchi Bandinelli come il maggiore artista romano di cui ci sia rimasta l’opera. Pur senza un nome, questo artista rappresenta uno dei più alti esponenti dell’arte romana che, liberatasi dalla schiavitù della fredda ripetizione dell’arte ellenistica, la elabora in forme espressivamente nuove, trasmettendo “una traboccante energia e uno scomposto doloroso impeto morale, che l’antichità non aveva creduto di poter ammettere sin qui alla sfera dell’arte”. La fama e la fortuna della decorazione di questa monumentale opera non sono mai venute meno nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. La meraviglia suscitata dalla visione dei rilievi è rimasta viva con lo scorrere del tempo, tanto che siamo in grado di ritrovare citazioni e omaggi alle scene raffigurate in molte altre opere d’arte (pitture, sculture, disegni di studio, oreficerie) in cui gli artisti non smisero di trarre ispirazione e insegnamento da questo monumento che da 19 secoli sopravvive di fama indiscussa.
Bibliografia:
Luca Cipriani