Le fonti ci dicono che il Parmigianino era un ragazzo molto bello, dall'aspetto più angelico che umano: questo è il ritratto che anche Giorgio Vasari fornisce del giovane Francesco Mazzola. Un giovane bellissimo che sul fin di vita diventa un "uomo salvatico" a causa, secondo Vasari, di una passione per l'alchimia che lo avrebbe irrimediabilmente rovinato. E una passione sulla quale si fondano molte delle speculazioni attorno ai misteri che si celano dietro alcune delle sue opere.
“Giovane di bello, et vivace ingegno, e tutto gentile, et cortese” fu colui che già in
tenera età respirò i fermenti artistici di un'epoca irripetibile, nell'intimo calore
familiare dove l'affetto degli zii Ilario e Michele accese l'emergente ingegno del
nipote.
Dall'aspetto grazioso, tanto che pareva più un angelo che un uomo, Girolamo
Francesco Maria Mazzola “fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a
un eccellente pittore sono richieste”.
E tali parti furono capaci di conferire alle figure da lui rappresentate quell'elegante
leggiadria nelle attitudini che dipinse di grazia i nobili lineamenti femminili, tanto
che la sua maniera venne lungamente osservata ed imitata.
“Saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno
onorato” perché egli divenne il padre di una pittura rinnovata, frutto di idee nuove
ed innovative, legate a quell' ammirevole passato e attente ai nascenti fervori
contemporanei.
Soffocato come tanti, dall'ossessione della maniera, dilagante e persuadente fra i
fermenti di protesta religiosa, egli non si accontentò di ciò che la natura magnanima
gli concesse a piene mani.
E così, nella morza di un desidero mai appagato, mentre il fiore della sua gioventù si
apprestava ad appassire, come afferma il teorico Armenini “gli entrò nel capo di
voler attendere all'Alchimia” allontanandosi pian piano dalla pittura “... et
dell'honore, et di molto gratioso che egli era, divenne bizzarrissimo e quasi stolto”.
E quelle strane fantasie che, come descrive il Vasari, lo condussero a “.. tramenare
carboni, legne, bocce di vetro e altri simili bazzeccature...”, lo resero tanto povero da
condurlo alla rovina economica e all'instabilità mentale.
Quel volto sofferente, nascosto da una lunga barba bianca, crespa ed iincolta, avvolto
da capelli di un grigio privo di vita, ci appare nell'autoritratto del 1540, oggi alla
Galleria Nazionale di Parma dov'egli “aveva preso aria di mezzo stolto, e già la
barba et i capelli cresciutigli, aveva più viso d’uomo salvatico”.
Mai, la ricerca senza tregua dell'oro luccicante aveva ridotto un uomo a così tal
incuria, tanto da offuscare la consapevolezza che quell'“opere sue
incomparabilmente valevan molto più dell’oro”.
Ambra Grieco