Oltre a essere stato un grande scultore, pittore e architetto, Michelangelo durante la sua vita si cimentò anche con la scrittura, e in particolare con la poesia: le sue Rime sono tra le opere letterarie più famose del Cinquecento. Dalle liriche contenute nella raccolta emerge tutta la fragilità di un carattere burbero e scontroso ma al contempo tormentato e sofferente: il ritratto di un genio solo, che trovava rimedio ai suoi tormenti nella poesia.
Mai durante la sua vita riuscì a rendere pubblici i suoi scritti, proprio lui che in cuor
suo tanto affanno nutriva, proprio lui che tanto si affaticò per compiere l'opera
magna, in una Roma dove si facevano “elmi e spade coi calici sacri”.
Turbato ed irrequieto, fluttuante nella sua più grigia solitudine, la sua vita fu sempre
accompagnata dalla scrittura, da quell'impeto irrazionale e bisognoso dal quale la sua
mano faceva scivolare la penna intrisa di inchiostro su vecchi fogli ingialliti.
Ed è qui che si leggono le pene subite per dipingere la volta della Cappella Sistina, quando il corpo gli si fletteva e le gocce di colore gli cadevano sul volto, costretto a muover passi cauti poiché “passi senza gli occhi mossi” su centine instabili, fra la gelosia e l'inganno di chi come lui nutriva in sé il genio dell'arte.
Per Giulio II egli fu “buon servo, dato come è raggi al sole”, ma quel sole illuminò di
gloria coloro i quali idearono mille raggiri per toglier lui il suo lavoro.
E proprio quando nel cuor inizia a nascere la sofferenza, le parole abbracciano i
disegni e i versi insieme alle rime risuonano forti e stridenti come corde di violino fra
le note amare di una cruciale diatriba interiore.
La sua linea energica, scattante e piena di vita lega l'arte alla poesia perché essa,
dall'alto della sua maieutica, liberi l'uomo dai tormenti e dalle sofferenze.
Più di trecento componimenti rendono vivi ancora oggi i suoi pensieri, i suoi disagi e le sue pene, nella sua profonda passione per la bellezza umana e per la forza dell'amore e dei sentimenti, in una continua lotta tra piacere e tormento profondamente soffocato dal limite del finito, volto alla ricerca di una spiritualità assoluta.
Altalenante e tortuosa la sua vicenda redazionale, fra mille indecisioni e
ripensamenti, fra sonetti inconclusi, gruppi di versi sciolti e barzellette popolari.
Improvvisi sfoghi di dolore ed amarezza colpiscono l'animo di un lettore attento e
coinvolto, in preda alla totale frammentarietà dei suoi componimenti aventi la forza
far trasparire l'intima umanità di colui che umilmente affermò:
“Lo scrivere m'è di grande affanno perchè non è la mia arte, lo scrivere m'è di
grande noia e fastidio. Quand'io vi scrivo, se io non scrivessi così rettamente come si
conviene, abbiatemi per iscusato”.
Ambra Grieco