Nell'articolo per la puntata di oggi, Ambra ci propone una preziosa analisi sulla raffinatezza dell'arte guercinesca e allo stesso tempo, parlandoci di "Et in Arcadia Ego", ci porta a osservare come il Guercino riflettesse sulla natura umana.
"Qua vi è un giovane di patria di Cento, che dipinge con somma felicità d'invenzione.
È gran disegnatore e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far
stupire chi vede le sue opere. Non dico nulla: ei fa rimaner stupidi li primi pittori".
Con tali parole Ludovico Carracci descrisse uno dei pittori più raffinati del seicento
italiano evidenziando la sublime divergenza tra la divina bellezza delle sue opere ed
il suo aspetto fisico così lontano dal bello.
Un evidente strabismo di Venere, Giovan Francesco Barbieri, lo aveva a tal punto da
venir soprannominato il Guercino, ma se i suoi occhi non rendevano grazia al suo
aspetto esteriore, riuscivano altresì a donargli una grande capacità di osservazione
della realtà unita ad una profonda sensibilità cromatica e plastica.
A nutrire la stima nei cuori altrui, gli giovarono inoltre le doti dell'ingegno, non meno
la bontà dell'animo e la profonda generosità.
Le fonti a lui coeve lo descrivono come religioso, umile ed infaticabile, insensibile al
successo e indifferente alla ricchezza, egli preferiva a tutto lo studio, la pace,
l'amicizia, la virtù e s'occupava in silenzio non del bene che gli poteva venire, ma di
quello che poteva fare.
L'umiltà e la tranquillità d'animo caratterizzarono la sua vita non priva di interrogativi
esistenziali nella salda consapevolezza di una condizione umana fugace ed effimera.
E così, abbracciati da un paesaggio poetico ed evanescente, tra un soffice verde
boschivo ed un blu cobalto pronto ad accogliere il chiarore dell'alba, la loro mente
percorre sentieri impervi e privi di meta. Proprio lì, in quell' idillaco luogo agreste,
così idealizzato ed evanescente, una signora vestita di nero compare improvvisamente
lungo il loro lungo cammino quotidiano.
Quella consapevolezza costante, mai voluta e mai accettata, adesso rende nota la
propria presenza, così invisibile ed improvvisa col suo beffardo potere di rendere
vano ogni aspetto materiale.
Quell'attraente e spaventosa vanitas che induce la mente umana a riflettere sulla
caducità della vita e sulla fugacità delle cose terrene, viene dipinta da Guercino in
chiave emblematica e simbolica, visibilmente caratterizzata da un prezioso
cromatismo unito ad una particolare minuzia descrittiva.
Il capo chino e l'espressione rassegnata dei due pastori testimoniano un' interiore
consapevolezza che la morte è presente anche lì, in Arcadia, dove la vita così felice
ed incantata, ben presto trae in inganno ogni suo ospite.
Il teschio è il segno esplicativo del suo celere passaggio che rivela all'osservatore la
sua onnipresenza. Di fronte ai due uomini, uno più giovane, vestito di una tunica
bianca, l'altro più anziano, barbuto con il il capo coperto da un voluminoso berretto
rosso come la tunica che lo riveste, padroneggia lei, al di sopra del sintagma latino
"Et in Arcadia ego" scolpito nella pietra e nascosto agli occhi dei viandanti.
E quando ella compare, la ragione sembra divenir così inefficace ed inappropriata che
la mente percepisce un unico pensiero: Oh, beata giovinezza che si fugge
tuttavia...chi vuol esser lieto sia , del doman non v' è certezza!
Ambra Grieco